Non sono giorni facili per il Presidente del Consiglio. Matteo Renzi sta indubbiamente dimostrando combattività insieme a una certa disinvoltura, con cui forse cerca di nascondere un po’ di nervosismo. Si vede che il leader è irritabile e lo si comprende anche dai sondaggi che gli arrivano, sulla maggioranza degli italiani che sembra trasformarsi sempre di più in una tribù di “gufi”. In realtà i problemi, in questo inizio 2016, si stanno accumulando. La ripresa economica e le Borse (fino a lunedì adesso si respira!) hanno complicato tutto, anche un po’ l’immagine del governo “rottamatore”. Ma la lista dei problemi è lunga: le banche salvate con i risparmiatori imbufaliti; il gruppo dei “babbi” toscani che è sempre alla ribalta della cronaca, persino con frequentazioni leggermente imbarazzanti.



E poi quel Junker, che da Bruxelles (per conto terzi, cioè della Merkel) spiega, con toni da “pescivendolo”, che a Roma non ci sono interlocutori. E Renzi replica (forse anche lui su suggerimento di altri terzi) con toni ugualmente sopra le righe, come il lussemburghese. Un autentico spettacolo questa Unione Europea! Da aggiungere due giornate parlamentari da definire almeno problematiche.



Nella prima, in sede di votazione sulle riforme costituzionali, devono intervenire direttamente Denis Verdini e il partito del sindaco di Verona, Flavio Tosi, a salvare la maggioranza renziana. Non proprio due gentiluomini della politica in quanto a idealità. Nella seconda si profila l’ostacolo della legge sulle unioni civili, dove sono stati presentati 6mila emendamenti. Si potrebbe aggiungere “last but not least”, cioè ultimo ma non meno importante, quello che avviene a Milano, nell’imminenza delle primarie del Pd e delle elezioni comunali. Inutile girarci intorno: qui si sta profilando l’affare Sala.



Al contrario del “last but not least”, noi continuiamo a pensare che la candidatura di Giuseppe Sala, il grande “guru” dell’Expo, sia la più corrispondente all’idea di partito che Matteo Renzi ha in testa, anche se fa il segretario del Pd, oltre che il Presidente del Consiglio. E che a Milano si giochi una partita decisiva per il governo Renzi, che può avere sviluppi imprevedibili. E’ probabile che quando è stata inaugurata l’Expo milanese, il 1° maggio 2015, Renzi, lodando pubblicamente le intuizioni di Letizia Moratti, volesse dare un’imbeccata al city manager della giunta Moratti, cioè a Beppe Sala. Un uomo che “deve” convincersi ogni giorno di essere di sinistra, pur avendo condiviso molta parte della sua carriera con Bruno Ermolli, che con la sinistra non ha nulla a che vedere. Milano, come si diceva, nello scacchiere delle prossime comunali, è la pedina importante, decisiva, soprattutto da un punto di vista del rilancio economico e dell’immagine che il Pd, targato Renzi, vuole dare di se stesso. A ben vedere la sequenza della candidatura di Sala è stata lineare e allo stesso tempo impressionante. Eccola, in breve sintesi. Il Presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, spiega che Milano è ritornata a essere “capitale morale”. Beppe Sala si gode il successo, soprattutto mediatico ( a quanto sembra) di Expo, e nello stesso tempo entra nel consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti, assicurando, di fatto, un interessante link di futuri investimenti statali. 

Renzi chiude la partita, indicando Sala alla poltrona di Palazzo Marino. A questa sequenza che lascia molti sbalorditi, si oppone il sindaco uscente, Giuliano Pisapia, che candida l’attuale vicesindaco Francesca Balzani, e una parte non indifferente del Pd. Perché? Probabilmente perché la vocazione a “sinistra” di Beppe Sala ricorda a qualcuno, se non quella di Verdini, almeno quella di Tosi, i “convertiti” su cui Renzi conta e in fondo spera. Di fronte a questa disinvoltura del premier le contromosse non mancano. Dopo il tormentone di “primarie sì primarie no”, Sala si decide a correre, ma non fa dimenticare il suo passato morattiano. E quando si entra nel vivo delle “primarie accettate” saltano fuori alcune indiscrezioni da due quotidiani sui rapporti tra Sala e uno degli architetti che ha lavorato per l’Expo, Michele De Lucchi.

Nel primo confronto a quattro con Pierfrancesco Majorino, Francesca Balzani e Antonio Iannetta, Sala chiarisce e porta fatture e ricevute relative ai lavori che De Lucchi ha fatto per la sua villa. Tutto finito? Niente affatto. Ieri a pagina 15 del Corriere della Sera (potere ancora abbastanza forte nonostante tutto), c’è un perfido taglio basso, come si dice in gergo giornalistico, dell”informatissimo Luigi Ferrarella, dal titolo insinuante: “Quei compensi dalla Fiera all’architetto della villa di Sala”. Il cronista del Corriere sostiene che ci sarebbero 500mila euro dati Fiera Milano a De Lucchi per progetti e lavori sul Padiglione “Zero” dell’Expo. Il contratto sarebbe stato fatto su suggerimento della stessa Expo. Certo che, a quasi 15 giorni dalle primarie (7 febbraio), questa precisazione di via Solferino, anche se collocata a “riflettori bassi” sul giornale, non deve essere piaciuta né a Sala né a tanti del Pd, soprattutto renziani.

Tanto è vero che nella stessa cronaca di Milano si fa notare che ci sarebbe un “pressing televisivo” sui candidati delle primarie per un nuovo confronto, ma Beppe Sala appare distratto a fa filtrare la voce che non ha affatto voglia di parteciparvi. Il che fa pensare che vuole sottrarsi alle ripetute e nuove domande sul suo passato morattiano, ai lavori sulla villa, e ai compensi all’architetto De Lucchi. Tutto questo innesca una serie di voci maliziose che non sono affatto piacevoli, nemmeno per il “mandante” della candidatura Sala, cioè per Matteo Renzi. Le voci che arrivano dall’interno del Pd milanese sono abbastanza confuse. Si dà per scontata la forza del candidato Sala, ma non si trascura affatto la determinazione e la consistenza politica ed elettorale di Francesca Balzani. Ancora adesso si dice che il risultato delle primarie dipenderebbe dal numero di chi va alle urne: “Se ci vanno in cinquantamila, quelli che sono vicini al partito, sempre e in ogni occasione, la Balzani passa. Se ci vanno ventimila votanti in più, cioè persone più saltuariamente vicine al Pd, compresa la folla dei “convertiti” la vittoria va a Sala”.

Ma c’è una voce ancora più maliziosa. E’ quella relativa al ruolo di Majorino, ufficialmente leader della sinistra del Pd. La corrente cioè che dovrebbe contrapporsi con più determinazione a Sala. Secondo alcune voci, Majorino riuscirebbe nel “magnifico intento” per la sinistra di sottrarre voti alla Balzani e quindi di indebolirla a vantaggio di Sala. Magari per Majorino scatterebbe, dopo l’affermazione di Sala, il posto a “numero 2” della giunta di Palazzo Marino. Si può proprio dire che nella Milano deideologizzata, nella nuova sinistra che avanza al “centro” vada in scena lo spettacolo della massima confusione. Sarebbe interessante conoscere a quale numero di Repubblica (seconda, terza, quarta, quinta) appartiene una simile politica per l’amministrazione municipale milanese.