Giovanni ci teneva alla sua Fiat Brava blu, pagava puntuale tutte le rate dell’assicurazione. I pochi soldi della sua pensione sociale infatti se ne andavano quasi tutti così.

El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu

rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore

Giovanni l’aveva piazzata nel parcheggio di un supermercato alle porte di Milano, l’ultima volta che l’aveva guidata. Chissà da dove veniva Giovanni, chissà come mai aveva scelto quel parcheggio. Forse ci veniva a fare la spesa quando non era ancora un barbon. O forse era alla giusta distanza da dove aveva vissuto la sua vita “normale”, quella di noi che non siamo dei barbon: famiglia, lavoro, amici, televisione alla sera. Meglio stare il più lontano possibile da quella vita, deve aver pensato.



El purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bun

l’era il prim a mena via, perche’ l’era un barbon

Giovanni non era proprio un barbon: vestiva dignitosamente, con quel poco che gli era rimasto. Era pulito, per quanto ci riusciva, non si ubriacava e non importunava i passanti. Aveva la sua bella Fiat Brava blu che aveva comprato chissà quando, magari facendo anche il “leasing” e sacrifici. Che macchina la Fiat Brava, una bella macchina, era stata anche nominata auto dell’anno 1996. A Giovanni piaceva tanto. Ne aveva fatto la sua casa.



vengo anch’io sulla macchina, non sono mai stato su una macchina,

specie di dietro….poteva farmi salire anche davanti, tanto non

sporcavo mica

Giovanni non era mai sporco o trasandato, dicono quelli che avevano imparato a conoscerlo andando a fare la spesa tutte le settimane in quel supermercato. Giovanni non si lamentava mai. Giovanni non protestava o si incazzava perché il comune o chi di dovere non gli dava una casa. Lui una casa non la chiedeva proprio, il Comune gliel’aveva anche offerta. Giovanni non chiedeva neanche la carità. Ma ringraziava sempre chi gli offriva un panino o un caffè. Giovanni aveva due fratelli con i quali non parlava da anni, chissà perché. Succede, in tantissime famiglie. La famiglia può essere cattiva. Succede. Giovanni però non parlava male di loro: quando lo faceva, dicono, la sua voce si spezzava quasi in una profonda malinconia. 



che anca mi mi go avu il mio grande amore

roba minima, s’intend, s’intend roba da barbon

Giovanni è morto nella sua Fiat Brava blu, il tagliando dell’assicurazione bello e pagato e in regola. Forse è morto di freddo, forse di troppa malinconia. Lo hanno trovato dentro la sua Fiat Brava blu la mattina del 6 gennaio, l’epifania del Signore. Forse quella notte Giovanni aveva fatto un bel sogno, Qualcuno era venuto a prenderlo per portarlo in una Casa, quella che nessuna amministrazione comunale ti può dare e dove tra fratelli non si litiga.

 

anche mio cugino Aristide aveva la macchina, ferma però,

gh’è durmiva denter….Aristide…dopo è morto, lui è la macchina,

l’è s’cioppà tutti e du…..ostia Aristide…e rideva semper…

 

La storia di Giovanni Cosenza, morto a 72 anni la notte del 6 gennaio nel parcheggio del supermercato Carrefour a Cinisello Balsamo, al confine con Milano, ha fatto discutere a lungo. E’ stata immediatamente strumentalizzata a fini politici: ecco, il Comune dà la casa ai profughi, ma non agli italiani poveri. Il sindaco di Cinisello ha spiegato che a Giovanni Cosenza una casa era stata offerta, ma l’aveva rifiutata. Il motivo poteva saperlo solo lui. Si possono fare tante ipotesi anche mediche, per concludere che era un povero malato mentale incapace di distinguere tra una vita normale e una buttata in un parcheggio.

Buttata? Chi può dire che una vita normale non sia buttata via più della sua? 

Si può pensare che Giovanni Cosenza avesse una concezione della sua dignità di persona tale da non voler accettare l’aiuto di nessuno, perché o lui ce la faceva da solo o moriva nella sua macchina. Una concezione estrema di sé? Può darsi. Nessuno però può giudicare come si compie il destino di un uomo. Per ragioni che nessuno saprà mai, quel parcheggio e quella macchina blu dovevano essere la strada in cui doveva passare il compimento del destino di quell’uomo. Roba de barbon, roba da uomini, da rispettare e contemplare. 

 

(N.B.: L’articolo contiene alcuni versi della canzone El purtava i scarp de tennis, parole e musica di Enzo Jannacci)