La morte di  Bernardo Caprotti, creatore di Esselunga, tocca in modo emozionante la nostra città. E giustamente il Consiglio comunale ha approvato una mozione per intitolare una via di Milano a questo grande imprenditore. Si tratta di un’anticipazione della norma che prevede i dieci anni dalla morte per portare nella storia della città una personalità significativa. La proposta è venuta dal gruppo di Forza Italia ma è stata approvata a larga maggioranza.



Ci sono stati dei dissidenti, Basilio Rizzo e altri di Sel. Un pezzo della sinistra che è particolarmente radicato a Milano. La motivazione del voto contrario è che si deve tener conto del fatto che ci sono state tante lotte sindacali dei dipendenti Esselunga,  a cui Caprotti non avrebbe dato ragione sufficiente. In altre parole l’estrema sinistra milanese contesta il ruolo imprenditoriale facendolo diventare una colpa. 



Credo che Caprotti si sentirà onorato di questo attacco, che lui aveva già affrontato con il suo libro Falce e carrello, nel quale denunciava l’ostracismo di certa sinistra agli insediamenti di Esselunga. Non solo per la concessione di terreni e di licenze a costruire, ma anche per certe forme inasprite di contestazione sindacale. Insomma, il grande imprenditore è un simbolo e il dibattito politico non sfugge da questa zona scura della politica che ha protetto il sistema di potere del commercio cooperativo. 

Caprotti, grazie a Basilio Rizzo, si ripropone come sostenitore della libertà di impresa e degli eguali diritti che la politica deve garantire. Mentre questo pezzo di sinistra milanese deve ancora capire quanti errori ha commesso nel garantire la dinamica economica della città. Questa sinistra milanese dice da sempre no a tutte le iniziative di strade, servizi, licenze edilizie che sviluppano il ruolo di Milano. E’ una mentalità conservatrice che dice che Milano deve restare una città di 1.300.000 abitanti, che non si debbono fare le strade interquartiere e che lascia ai supermercati della Coop tutta la cintura che circonda la città.



Molto bene allora questo riconoscimento del creatore di Esselunga, il cui ruolo commerciale è stato molto utile per la competizione nella città. Parliamo di buone prassi, ovvero di un imprenditore che ha lavorato bene e che ha mantenuto nelle sue mani la proprietà privilegiando la promozione dei prodotti italiani.

La vastità della scelta garantita da Esselunga ha certamente reso più impegnativi i costi di gestione e ha tenuto alto il numero di dipendenti necessari. Ma l’abilità di Caprotti è stata nel saper organizzare il lavoro. Solo la persona autorevole può ottenere il pieno comporsi del lavoro di ognuno; questo non vuol dire viva il capitalismo, vuol dire invece buone prassi e grande senso di responsabilità nel lavoro.  

Non è il padrone che è garante dell’autorevolezza, è la persona che si mette tutta nell’impresa che ottiene il riconoscimento di quell’autorevolezza. Infine le persone che aderiscono al progetto gestionale sono partecipi della comunità operosa, e così l’impresa della comunità funziona anche oltre il capitalismo. Ecco perché Esselunga è stata una buona azienda.