E alla fine è arrivato Stefano Parisi, e Milano si è svegliata con una competizione elettorale fuori dalla porta. Sembrava poterne fare a meno, la città, impegnata nella sua totalità dietro alle sfumature o alle faide intestine di un solo schieramento, con gli altri contendenti (Passera e la Bedori, del Movimento 5 stelle) confinati nell’irrilevanza politica e mediatica. Sembrava che il problema fossero Sel e gli Arancioni, la sinistra della Balzani o la sinistra-sinistra di Majorino. Qualcuno si era azzardato perfino a nominare Civati (possibile?).
Il centrodestra era silente. Non sembrava in grado di esprimere una classe dirigente, una proposta politica, un programma o dei contenuti. Poi, è arrivato un salvatore della patria. Da solo ha annunciato di candidarsi. Niente palco o bandiere sotto le insegne della triplice (Salvini-Berlusconi-Meloni), prima degli altri candidati sindaci delle grandi città. Lo ha fatto direttamente, parlandone con qualcuno di cui si fida e che ha già fatto questo percorso (Albertini), ottenendo il sostegno, dopo Berlusconi, di Salvini (che non si vede così costretto ad accettare il nome di Lupi, sponsorizzato da Maroni) e di Fratelli d’Italia, con La Russa e De Corato che non hanno potuto dire di no, non essendoci alternative. Lo stesso Parisi ha ottenuto anche il sostegno di Ncd, riproponendo l’alleanza che governa la Regione Lombardia e superando d’un balzo il niet leghista a chi sostiene il governo Renzi.
Stefano Parisi è un manager, pubblico e privato, che ha passato molte vite: negli anni 80 gira per le segreterie di ministeri e governo, lavorando tra gli altri con De Mita, De Michelis, Ciampi e Amato. Si trasferisce a Milano nel 1997, chiamato da Gabriele Albertini a fare il city manager, figura non presente nella macchina comunale fino ad allora. E’ una giunta di tanti giovani di belle speranze: da Lupi a Casero, da Scalpelli a Del Debbio. Nel 2000 passa alla direzione generale di Confindustria con Antonio D’Amato, dove sostiene la battaglia per l’abolizione dell’articolo 18. Nel 2004 diventa amministratore delegato di Fastweb, dove rimane fino al 2012, quando fonda Chili TV, piattaforma di distribuzione di contenuti via web.
L’ultima sua creatura, che necessita di una ricapitalizzazione, l’ha fatto tentennare, ma il richiamo della politica e del servizio alla cosa pubblica è stato troppo forte. Fin da subito ha trovato sintonia (incredibile a dirsi) con la coalizione più litigiosa del mondo: Silvio Berlusconi, che l’ha contattato, ha ottenuto che non facesse una lista a suo nome (per evitare l’effetto svuotamento di Forza Italia, come avvenuto a Venezia), Salvini ha trovato una faccia pulita, che lo togliesse dall’imbarazzo di correre in prima persona; Maurizio Lupi torna da protagonista sulla scena politica milanese, sembra il vero king maker dell’operazione.
Rilancia il centrodestra intorno ad una persona credibile, riporta il Ncd al tavolo, abbandonando le sirene del Pd che sembrano aver ormai ammaliato Alfano. Se poi avrà successo, avrà costruito (finalmente!) un modello credibile alternativo a Renzi.
Ora qualcuno storce il naso di così tanti manager o tecnici candidati alla poltrona di primo cittadino, quasi “fotocopie” l’uno dell’altro, ma non è così.
Sala è uscito fiaccato dalla campagna delle primarie, anche per aver dimostrato qualche debolezza di troppo nello stile oratorio o nella lotta sull’agone politico. Attaccato, è spesso andato in difficoltà, anche su terreni su cui dovrebbe essere particolarmente forte, come bilanci o appalti. Oggi si trova a rincorrere la sinistra, area dove riscuote pochi consensi e dove non si trova a suo agio. Dalla sua ha una squadra collaudata, un partito rilanciato e con molta militanza, collaboratori di esperienza e “peso” politico, almeno su Milano.
Parisi è faccia fresca e nuova, che meglio interpreta il saper fare e la discontinuità da certo immobilismo di Pisapia, non ha scheletri nell’armadio né alleati ingombranti, e ha la capacità e la simpatia personale che possono, in una campagna elettorale lunga, fare la differenza.
L’impressione è che Renzi non potrà permettersi un insuccesso a Milano e preparerà il bombardamento, mettendo in gioco il suo carisma personale e la forza (e il denaro) del Governo. Milano avrà solo da guadagnare perché, si sussurra, comunque vada, avrà il miglior sindaco d’Italia.