Dal punto di vista demografico il passaggio dalla Città di Milano alla corrispondente Città Metropolitana milanese se, da un lato, fa intravvedere un interessante e utile percorso di rivitalizzazione del capoluogo lombardo, dall’altro non sembra lasciar intendere significative inversioni di tendenza nelle dinamiche di fondo della popolazione localizzata nell’area in oggetto. Nonostante l’elevata (e nel tempo crescente) aspettativa di vita e un livello di fecondità che si accredita come relativamente migliore che altrove (ma resta del tutto insufficiente ad assicurare il ricambio generazionale), in assenza di sostanziali contributi netti sul fronte migratorio le prospettive di regresso demografico restano incombenti. Secondo il modello di popolazione stazionaria – con il quale si è soliti simulare “ciò che accadrebbe” con lo stabilizzarsi della realtà del nostro tempo – i meno di 30mila nati annui che hanno mediamente contraddistinto la nuova entità metropolitana nel corso dell’ultimo quinquennio garantirebbero, alle condizioni di sopravvivenza di oggi, non più di 2,5 milioni di residenti in regime di crescita zero e di stabilità nella struttura per età della popolazione. Il persistere dell’attuale dinamica naturale – basti pensare che nel 2015 le morti hanno superato le nascite di 4mila unità nell’intera area metropolitana – avrebbe dunque come risultato di lungo periodo, ove il saldo migratorio restasse nullo, un ridimensionamento del peso demografico dell’intera area con la perdita di circa 700mila residenti.
D’altra parte, anche il confronto con il panorama provinciale sul piano nazionale, così come quello entro l’insieme delle nove Città Metropolitane di recente istituzione, attribuisce a Milano una posizione che si muove tra luci ed ombre. Una condizione che riflette i vincoli di una struttura demografica sempre più appesantita verso le fasce d’età anziana e dipendente dagli apporti di un’immigrazione che, anche per via dei maggiori costi dell’insediamento in ambito metropolitano, non è detto possa risultare sempre adeguata, quantitativamente e strutturalmente, a sostenere lo sviluppo urbano.
Quali suggerimenti posso dunque ricavarsi, per iniziative di policy, alla luce del cambiamento sul fronte demografico? La strategia che verosimilmente potrebbe rilanciare la popolazione della Città Metropolitana di Milano nei prossimi decenni sembra dover guardare più alla qualità che alla quantità del capitale umano. Nella convinzione che, in risposta a condizioni di stagnazione demografica (se non di regresso) in un’area che presenta comunque un’alta densità di popolamento, solo la scelta di alzare il livello qualitativo del capitale umano può realmente configurarsi come soluzione ottimale per mantenere sia le condizioni di benessere economico, sia il patrimonio delle relazioni sociali e culturali.
A tale proposito, la formazione a tutti i livelli e per tutte le età (formazione continua), così come l’integrazione per chi “si è aggiunto provenendo da altrove” (radicamento e valorizzazione dell’immigrazione), sembrano essere due obiettivi prioritari per poter garantire i nuovi equilibri nella società milanese del futuro. Nel contempo è altresì opportuno che si attivi un’azione di rilancio della famiglia. Non tanto per aumentarne la consistenza numerica (già di per sé cresciuta e crescente alla luce delle statistiche anagrafiche che premiano il modello – talvolta fittizio- deisingle), quanto per intervenire sulla sua struttura al fine di rafforzarne la vitalità e la funzionalità sociale ed economica. Una funzionalità che, non a caso, agisce lungo le due direttrici che segnano i nodi critici più importanti nella demografia della Città Metropolitana Milanese. Ci si riferisce sia al ricambio generazionale, che va recuperato attraverso un rilancio della natalità, sia al “welfare familiare”, che va fortemente sostenuto e messo in condizione di poter rispondere alla crescente domanda che deriva dall’ineluttabile processo di invecchiamento demografico che ci aspetta già nell’immediato futuro.