Dopo la scelta compiuta con la legge Delrio, che ha istituito direttamente nelle regioni a statuto ordinario dieci città metropolitane, una buona parte del dibattito che aveva occupato esperti e opinione pubblica sembra ormai superata. In realtà, molti problemi rimangono ancora da affrontare. Anzi, è il momento di passare all’azione, per evitare che il decisionismo, per qualche aspetto temerario, della legge 56/2014 sia sopraffatto dal mero continuismo. Tuttavia, se la scelta tra la logica funzionale dell’area metropolitana o quella istituzionale della città metropolitana coincidente con la precedente circoscrizione provinciale, è stata risolta repentinamente a favore di quest’ultima, deve riconoscersi che i problemi di identificazione del ruolo delle nuove città metropolitane appare ancora irrisolto. E soprattutto, se ancora molto occorre fare sul versante dell’attuazione, occorre evitare di dar luogo ad ulteriori frazionamenti e diseguaglianze sul fronte dell’erogazione dei servizi pubblici tra i cittadini che disporranno della nuova città metropolitana e coloro i quali continueranno a confrontarsi con le province o, ancor peggio, avranno a che fare con l’ancora incompleto processo regionale di riordino delle funzioni provinciali.



Non vi è dubbio, infatti, che la città metropolitana sia una realtà istituzionale con un impatto potenzialmente elevatissimo sulla complessiva evoluzione del nostro Paese. Basti pensare al fatto che una quota amplissima della popolazione italiana – per quanto in modo ampiamente inconsapevole – ne è direttamente coinvolta, dato che nelle neo-istituite città metropolitane vive più di un terzo dei cittadini (considerando anche le città metropolitane delle regioni a statuto speciale). Ma, d’altro canto, la restante parte d’Italia, altrettanto ricca di attività economiche, oltre che di risorse sociali e culturali, è esclusa da questo processo di riforma, senza che ne ve siano ragioni sufficienti.



Per quale motivo, ad esempio, dal sistema delle città metropolitane – e dunque dal corrispondente assetto istituzionale dotato di autonomie, poteri e risorse senz’altro superiori alle province – sono attualmente escluse numerose porzioni d’Italia parimenti identificabili in relazione all’urbanizzazione diffusa oppure ancor più omogeneamente definibili in termini di attività umane o di caratteristiche territoriali? Se il rischio è quello di disarticolare l’Italia, occorre almeno evitare che la spinta “eteroimposta” delle neo-istituite città metropolitane si traduca in incontrollate fughe centrifughe, giustificando il passivo e progressivo appassirsi di tutti gli altri territori – e relative collettività – che invece sono egualmente degni di attenzione, in nome dei principi di unità e di solidarietà politica, economica e sociale su cui si fonda la nostra Repubblica.



Il problema non si risolve consentendo, in nome di un falso egualitarismo, ad ogni Regione – nella loro attuale configurazione – di disporre almeno di una città metropolitana. Si tratterebbe di una soluzione di basso profilo, politicamente insostenibile, e per di più inefficiente.

Viceversa, occorre ipotizzare la dislocazione delle città metropolitane all’interno di quella nuova articolazione del sistema regionale che si sta profilando nel dibattito più recente. Solo in questa prospettiva, volta a ridefinire razionalmente la strutturazione istituzionale del Paese, si potranno individuare, in tutto il territorio nazionale e secondo criteri condivisi di equità sociale, gli ambiti territoriali in cui collocare i soggetti istituzionali di area vasta – per l’appunto le città metropolitane – capaci di farsi effettivi capofila dei processi di governo collegati ai servizi a rete e a quelle decisioni pubbliche cioè che richiedono una visione necessariamente sovracomunale.

In questa fase, obiettivamente definibile “di transizione”, occorre perciò avviare in concreto l’attuazione delle neo-istituite città metropolitane, assumendo una sguardo più ampio, cioè puntando ad un sistema di città metropolitane strutturato in senso coerente con gli imprescindibili obiettivi di garanzia solidale per l’intera collettività nazionale, in modo da assicurare equa distribuzione delle possibilità delle condizioni di vita rispetto all’assetto delle pubbliche istituzionali decentrate. Equità sociale, solidarietà nazionale e corretta articolazione delle istituzioni territoriali, insomma, devono andare di pari passo.