“La novità viene da un ‘io’ non egoista ma attento al bene comune. Come nella tradizione milanese, dove le culture cattolica, socialista, comunista e liberale invece di tagliarsi la gola a vicenda hanno cercato una sintesi proponendo il riformismo che ha reso moderna e unica questa nostra città”. Domani la Compagnia delle Opere rende pubblico il proprio manifesto in vista delle elezioni amministrative e Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, cerca di dare una priorità ai temi proposti: abitare la città, il lavoro, l’università, la scuola e la cultura, il welfare e l’immigrazione.
Professor Vittadini, c’è un’idea che potrebbe essere vincente?
Quella delle partnership fra pubblico e privato. L’Italia è ancora presa da questa dicotomia, ma si supera con la collaborazione per il bene comune. Penso alla nuova normativa che sta eliminando gli appalti al massimo ribasso. Significa che l’impresa privata può dare il suo contributo al mondo pubblico portando la qualità. E’ l’idea che anche un privato può collaborare ad un progetto condiviso: ci sono tante esperienze a Milano in questo senso, a partire dalla Casa della Carità, all’Umanitaria, dal Banco Alimentare a Portofranco, fino a tutto l’housing sociale. Questa idea è vincente perché per rispondere alla mancanza di soldi e alla crisi dell’occupazione attuali bisogna unire le migliori risorse: e questo supera le divisioni classiche fra sinistra statalista e destra liberista.
Per questo i candidati sindaco paiono per molti versi simili fra loro?
Credo di sì. Credo si senta il bisogno di una costruzione che superi l’antinomia politica nell’interesse della città. Lo vediamo anche a livello nazionale: la legge sul non profit votata da uno schieramento trasversale è la prova.
Di cosa ha bisogno Milano?
Di un Jannacci della politica. Di uno che giri in periferia e ascolti la pancia delle persone, si accorga di cosa capita, interroghi l’uomo comune e capisca quali bisogni ci sono. Non ha senso preparare progetti da mettere sopra a realtà che non si conoscono. Oggi abbiamo i ruderi dell’Innocenti, Breda e Alfa Romeo non ci sono più, ma Milano è ancora una delle città economicamente più importanti d’Europa: perché non è crollata? Dove sono finite le persone che lavoravano in quegli stabilimenti? Ecco, un Jannacci della politica potrebbe raccontarci queste cose, intercettare il bisogno e progettare la città nuova.
Un giudizio sulla giunta uscente?
Al di là delle differenze di partenza, sono un estimatore di Pisapia, un uomo serio, attento alla realtà e non settario. Alcune cose simboliche che ha fatto ed erano state progettate dai suoi predecessori sono belle, come la Darsena e piazza Gae Aulenti: perché danno l’idea di una città bella da abitare. La “persona” Pisapia è stata utile per tutti, non solo per la coalizione arcobaleno e serve una persona con questa apertura culturale. Lui poi è legato alle origini di don Giussani, anche se poi ha seguito un suo percorso e quindi gli è rimasta l’idea del dialogo al di là delle convinzioni, del fare insieme.
Cl non si schiera. Ma cosa pensa dei candidati in campo?
Per noi vale un pluralismo di scelta e ci prepariamo con quattro incontri di contenuto si temi più urgenti, urbanistica, welfare, città metropolitana e cultura. I candidati? Penso che Parisi debba stare attento agli xenofobi e ai palazzinari che ha intorno, mentre Sala deve stare attento agli statalisti settari. Entrambi devono evitare di farsi imprigionare dalle parti peggiori delle loro coalizioni. Il nostro desiderio è che ognuno con la propria identità metta in luce ciò che accomuna. Per parafrasare Carron, l’altro è una risorsa e bisogna muoversi su questo.
Come le è parsa finora questa campagna elettorale?
Aspetto che entri nel vivo e mi auguro si capisca che Milano ha un ruolo per l’Italia. Mi auguro ci sia un dialogo costruttivo fra le parti e che vengano coinvolti circoli, associazioni, movimenti, università, partiti e gente comune. Invece di una Milano da bere, una Milano corale: la partecipazione, come diceva Gaber.
(dal Corriere della Sera)