“Milano e la sua sfida” è il titolo del ciclo di incontri, organizzato in vista delle prossime amministrative, dal Centro Culturale di Milano, Fondazione per la Sussidiarietà e Compagnia delle opere locale. Giovedì si è svolto il primo appuntamento sul tema: “Città delle comunità”.
“Ci sentiamo un po’ controcorrente — ha detto Giorgio Vittadini, uno dei promotori —: dopo tanto parlare di schieramenti, questi incontri vogliono mettere a tema i contenuti, ciò che c’è davvero in gioco in queste elezioni”.
Finalmente, verrebbe da pensare, si parlerà di disoccupazione, povertà, immigrazione, inquinamento, viabilità…
Invece niente di tutto ciò. Dalla serata è emerso qualcosa, alla fine, forse di più decisivo: una lettura della storia e del presente di Milano che ne svela la sua forza unica. E può essere sintetizzato in questo modo: uno spirito un po’ anarchico — così l’ha definito più di un relatore — di tante persone comuni, che non hanno rinunciato ai loro desideri e alle loro passioni, così come anche alla responsabilità di fare “cose buone per tutti”. E soprattutto non hanno rinunciato al confronto, al dialogo, alla relazione. Al creare comunità.
Questo è parso il punto che ha messo d’accordo tutti i relatori: il rettore del Politecnico, Giovanni Azzone; l’architetto ed ex assessore alla cultura Stefano Boeri; il vicepresidente della Camera di Commercio di Milano, Alberto Meomartini; lo scrittore Luca Doninelli.
Mentre altrove si tagliava la testa, qui si amava discutere — ricorda Vittadini —, quando a Roma c’era il Non Expedit, a Milano c’era Manzoni; quando a Livorno si fondava il partito comunista massimalista, qui la sinistra faceva l’Humanitaria ed emergeva la figura di Turati.
A Milano culture diverse si sono integrate e arricchite vicendevolmente: la cattolica, la socialista, la comunista, la liberale.
Attraverso questo “bene culturale immateriale”, dice Doninelli citando il poeta e scrittore medioevale Bonvesin de la Riva, la città non ha mai smesso di rifondarsi.
Tanti poteri sono andati e venuti, ma è rimasta una città laica, costruita dalla gente, dal popolo, che dal basso non ha aspettato che fosse il potere di turno a fare al posto suo. E ha saputo adattarsi e cambiare a seguito delle trasformazioni economiche e sociali: dopo la chiusura delle grandi industrie è nato il terziario, il sistema sanitario è diventato attrattivo, e così la moda, il design, la finanza, tante cose sinergiche tra loro, che se fossero state progettate “dall’alto” non sarebbero mai nate. “Sussidiarietà” è la parola che definisce l'”oro di Milano”, un terreno fertile che ha continuamente fatto fiorire qualcosa di nuovo.
E adesso? Le fondamenta del capoluogo meneghino sono cantieri continuamente aperti, insiste Doninelli. Le canzoni di Enzo Jannacci, ad esempio, non raccontano storie del passato, ma commuovono ancora adesso, anche coloro che vengono dalla Cina.
Ma per rassicurare che non è tutto rose e fiori, Boeri dice invece che oggi proprio ciò che è più decisivo, il senso di appartenenza ad una comunità, è venuto a mancare. “La metropoli milanese è quel tappeto di luci che si vede dall’aereo mentre si sta per atterrare, fatto di tanti centri, cresciuti simultaneamente”, spiega l’architetto che poi si chiede: come sentirsi cittadini di una metropoli fatta di tanti centri? Capendone i bisogni, sembra suggerire, raccontando di un’iniziativa fatta per conoscere più a fondo quella generazione che nel 2030 avrà tra i 35 e i 40 anni, gli adulti di un futuro molto prossimo. Dal dialogo con loro, prosegue Boeri, è emerso che, insieme a una maggiore capacità di informarsi e a una maggiore disillusione rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, hanno esigenze che segnano una grande discontinuità con il presente, come il bisogno di disconnettersi dall’estrema digitalizzazione e recuperare una dimensione diretta, fisica della relazione, basata sulla parola. Altro che pensare alla città del domani come tutta lussi e connessione continua…
Azzone e Meomartini in particolare si soffermano sul senso della città metropolitana, la nuova realtà amministrativa che di fatto coincide con la provincia di Milano. Azzone le riconosce l’obiettivo di dare una massa critica paragonabile a quella delle altre grandi città del mondo, sottolineando il grave problema demografico che la affligge (insieme a tutto il Paese) e l’importanza di non abbassare l’attenzione sulla sua attrattività mondiale. A Milano ci sono attualmente duecentomila studenti provenienti da altri Paesi: “una grande opportunità di vedere crescere una biodiversità di esperienze che non può che arricchire tutti”. Azzone non ha dubbi, chi sarà eletto sindaco di Milano dovrà innanzitutto affrontare questa sfida: capire come far percepire ai milanesi che l’apertura internazionale è un’opportunità.
Secondo Meomartini non è chiaro cosa sia la città metropolitana, nemmeno dopo aver letto le carte che l’hanno istituita. Ma in fondo, dice, non importa: una comunità non ha bisogno di confini, ma di senso, di relazioni. E che queste sono ancora attive nel tessuto imprenditoriale lo mostra il fatto che oggi il numero delle imprese nella città metropolitana di Milano è superiore al dato pre-crisi. Inoltre, sottolinea ancora Meomartini, il capoluogo lombardo non è solo la capitale del profitto ma anche del volontariato. Bisogna però che le eccellenze non rimangano separare, ma si tengano insieme. Nessuna legge infatti potrà mai dire come fare: può solo lasciare lo spazio perché lo spirito che deriva dalla nostra città si affermi, crei legami, associazioni, comunità “intermedie”, “sussidiarie”, espressioni dell’iniziativa del cittadino.
Aggregazioni artistiche, culturali, imprenditoriali, musicali, parrocchiali fanno comunità e quindi storia, conclude Vittadini, che aggiunge: “quelle luci di notte che citava Boeri sono luci di giorno: ‘io’ personali, non sudditi, ‘io’ che si muovo, accendono novità, sviluppo”. Se l’hanno potuto fare è perché non erano isolate. Inoltre, in questo modo, in un leale spirito si servizio, “è possibile accettare di collaborare alla costruzione comune, anche insieme a chi non è della tua parte”. E questa sarebbe decisamente una discontinuità col presente che conosciamo oggi. Non anarchia, ma libertà.