Potremmo intitolare questa breve nota “Città metropolitana: questa sconosciuta” e chiuderla qui. A più di un anno di distanza dal battesimo formale del nuovo ente, poco si è fatto e ancor meno si sa di cosa significhi davvero vivere, lavorare nella Grande Milano e cosa possa voler dire partecipare al suo sviluppo.



Le ragioni di questa scarsa consapevolezza sul versante sia politico sia della cittadinanza sono almeno di due ordini. Di contenuto: si è parlato e discusso più degli aspetti amministrativi e istituzionali che delle implicazioni sociali, culturali, simboliche e identitarie di questo passaggio; di scelte istituzionali: far coincidere in prima battuta i confini amministrativi del nuovo ente con quelli della ex provincia, fare della Città metropolitana un ente di secondo livello, con un carattere indiretto degli organi di rappresentanza, in entrambi i casi frenando la formazione di una coscienza metropolitana e l’integrazione tra i Comuni che compongono amministrativamente l’area. Per contro, un territorio, più che da un’investitura politica acquisisce fisionomia e forma attraverso un processo attivo di costruzione dello spazio, dove ciò che conta è anzitutto il modo di cooperare degli attori sociali, individuali e collettivi, indirizzato a generare valore condiviso, capace di riconoscere nel territorio un bene comune.



Perché ciò accada occorre anzitutto ripensare la questione della governance, declinando in modo appropriato il principio di sussidiarietà lungo le sue due dimensioni costitutive: verticale, modulando l’amministrazione a più livelli e in chiave partecipativa (questo lavoro di integrazione multilivello parte dai Comuni e arriva fino all’Unione europea, passando per la Regione, più di quanto non si sia sino a oggi visto); orizzontale, valorizzando il ruolo e la cooperazione degli attori non istituzionali portatori di interessi diretti e indiretti sul piano economico-produttivo e sociale.



Parallelamente occorre costruire un sistema decisionale e un metodo di lavoro più appropriato a un modello di governance quale quello descritto, cioè multilivello e plurale; un sistema decisionale articolato, policentrico e partecipativo, teso a mobilitare risorse e progettualità, sia per convergere sulle strategie di azione sia, prima ancora, per rilevare e leggere i bisogni della cittadinanza, secondo un approccio negoziale e sperimentale. Dunque, non imponendo visioni e opzioni di valore, ma aprendo arene di confronto nelle quali le priorità di intervento, le problematiche da risolvere e le proposte di soluzioni messe in campo dai diversi attori vengano discusse al fine di trovare spazi di azione comuni. Ed esplorando, dentro tali arene deliberative e in una logica sperimentale, opportunità e pratiche di innovazione mediate da modalità inclusive di coordinamento negoziale. L’agenda urbana potrà così definirsi in modo progressivo, a partire progetti sperimentali su cui aggregare coalizioni, traducendo le aspettative di cambiamento in programmi di azione realistici.

Cimentarsi lungo questa strada supera l’idea di un vertice-centro che decide per la periferia, a favore di una che riconosce come le conoscenze e le competenze che sono necessarie ad assumere decisioni pubbliche, di interesse generale, sono distribuite fra più soggetti (non presuppone di averne il monopolio). In linea con quanto indicato dallo statuto della città metropolitana, la partecipazione della società civile alle arene deliberative è cruciale affinché i cittadini possano trovare luoghi e modi per esprimere la loro voce nella definizione dell’agenda urbana e ricostruire il patto di fiducia con le istituzioni. Peraltro, la partecipazione (e tanto meno la capacità di partecipare) non può essere data per scontata. Essa va non solo resa un’opportunità fruibile, formalmente codificata e strutturata a partire da spazi e tempi dedicati (come forum e tavoli tematici di consultazione), ma va coltiva come una “competenza di cittadinanza”, anche valorizzando le esperienze di attivazione che dal basso, nel territorio, spontaneamente si sviluppano.

In questa prospettiva la Città metropolitana assume una funzione “abilitante”, orientata a promuovere e far crescere le capacità di visione e di proposta progettuale delle diverse realtà che la animano, dando spazio alle dinamiche istituenti di cui esse sono capaci, cogliendo in esse l’opportunità di innovare le logiche istituzionali che si dimostrano non più al passo con i tempi. La strategia territoriale metropolitana potrà così emergere da una polifonia di voci e interessi, capace di orchestrare una visione condivisa della città e del suo futuro: una cornice di senso entro cui collocare politiche e progetti.

Rosangela Lodigiani