Caro direttore, si avvicinano le elezioni comunali e comincia la corsa al voto. Innanzitutto dei candidati per procurarselo. Come è giusto che sia. La differenza la fanno le ragioni, in uno scenario confuso, sicuramente mutato rispetto a pochi anni fa e in cui esiste una pluralità di opzioni legittime, con cui ci si propone (e ci si pone) alla libertà dell’elettore sovrano. Per quel che mi riguarda, nella scelta di rinnovare il mio impegno a servizio di Milano, valgono le ragioni per cui in questi cinque anni di amministrazione Pisapia mi sono trovato all’opposizione e, da lì, ho cercato di costruire proposte puntuali in alternativa a quelle della sinistra. La sinistra dei diritti, quella per cui il pubblico – inteso esclusivamente in termini di potere politico – è chiamato a sollevare il cittadino da ogni tipo di preoccupazione, se non ad esercitare su di lui azioni con intenti pedagogici (v. le domeniche a piedi per “educare” i milanesi ad uno stile di vita alternativo, costate tra l’altro 3 milioni di euro). Simile concezione di governo ha portato la spesa corrente a 3 miliardi e al raddoppio della pressione fiscale sui contribuenti milanesi per sostenerne la dilatazione.



Tuttavia in un contesto come quello attuale, in cui una crisi nata dal debito privato americano si è trasformata in Europa in crisi dei debiti pubblici, la spesa non è più la soluzione quanto il problema. Idem le tasse locali, responsabili per 4/5 dell’aumento della pressione fiscale generale secondo le stime della Corte dei conti, che costituiscono ormai un freno agli investimenti e allo sviluppo. Solo a Milano, nell’ultimo anno, un capannone medio ha versato al Comune più di 65 mila euro (dati Assolombarda), ovvero risorse che potevano essere impiegate per dare lavoro ad almeno due dipendenti. Insomma, il centrosinistra milanese mantiene un nucleo ideologico ben preciso, coronato da azioni come l’istituzione del registro delle unioni civili o del biotestamento che hanno molto di propagandistico e poco di amministrativo se è vero, come è vero, che non intercettano interessi reali ma solo quelli della propria militanza di partito (infatti al primo risulta iscritto solo lo 0,069% della popolazione residente, al secondo lo 0,051).



Dall’altra parte del campo, dunque, si avverte la necessità di una proposta politica alternativa che sia in grado di raccogliere il meglio della tradizione politica milanese per cui, ad esempio, si riconosce che la società civile non aspetta la delibera di una giunta per rispondere a bisogni veri. La candidatura di Stefano Parisi, sotto la quale intendo rinnovare il mio impegno a servizio della città, va esattamente in quella direzione. Non a caso sulla scrivania del suo ufficio privato ho notato la foto di Marco Biagi, cioè il consulente accademico con cui proprio Parisi, all’epoca Direttore generale di Palazzo Marino con Albertini, realizzò l’intesa “Milano Lavoro”. Per la prima volta in Italia un Comune realizzava uno “sportello unico”, specializzato nel reinserimento delle categorie più a rischio di esclusione sociale, con il coinvolgimento di realtà private e dell’associazionismo imprenditoriale in grado di realizzare nuova occupazione a Milano.



La proposta di Stefano Parisi, quindi, individua proprio uno spazio dentro cui si muove quella gente che non ammette che le si dica come debbano essere le cose e che preferisce piuttosto assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. In questo senso è interessante il suo progetto di andare «oltre il centrodestra», come ha dichiarato al Corriere della sera. Non per dissimulare differenze politiche, ma per superare il perimetro ristretto costituito da sigle di partito che non attirano più. Per questo è nata la lista Milano Popolare: per garantire l’anima lib-pop dell’impegno politico di Parisi e «lanciare una politica liberale ma non elitaria, fatta per la gente e per il popolo. Meno pressione fiscale, meno vincoli, meno regole soffocanti».

Cioè un capovolgimento del paradigma amministrativo degli ultimi cinque anni, in cui tra l’altro si è assistito al proliferare di regolamenti. Il Consiglio comunale ne ha deliberati 35, tra modifiche a quelli esistenti e altri ex novo. Il tutto per un totale di 807 pagine. Carta che si riversa sui cittadini, insieme all’oppressione fiscale e alle multe utilizzate più per chiudere i bilanci del Comune che per altro. È proprio da un paradigma differente che, invece, hanno preso il via alcune delle proposte che ho presentato in questi anni. Il ravvedimento operoso per chi si dimentica di pagare l’ingresso in Area C con una riduzione dell’80% sulla molta ed un risparmio complessivo per le tasche dei cittadini di 1 milione da quando il provvedimento è entrato in vigore (7 aprile 2014). Piuttosto che il rifinanziamento della distribuzione delle derrate alimentari alle scuole paritarie non comunali che la giunta si era clamorosamente “scordata”.

Con un emendamento a mia firma si è garantito 1,6 milione per un servizio rivolto a oltre 7 mila famiglie milanesi. Se queste scuole fossero state costrette a chiudere i battenti, e l’utenza si fosse riversata su servizi erogati dall’amministrazione, il Comune avrebbe dovuto reperire altri 40 milioni. A dimostrazione che la sussidiarietà in tempi di spending review conviene anche all’ente pubblico. Una ente che non deve vedere nell’iniziativa privata un qualcosa da cui difendersi, ma da servire, perché costituisce una ricchezza per tutti. Da qui è nata anche l’idea che ha portato ad un servizio di supporto dedicato dalla Direzione entrate agli enti non profit, che dal 2013 si sono ritrovati per la prima volta a dover versare l’Imu all’amministrazione comunale. Con una mia mozione il Comune si è impegnato ad aiutare soprattutto le piccole realtà del Terzo settore, i cui immobili non sono innanzitutto fonte di lucro perché destinati ad attività con finalità sociali, che il più delle volte comportano anche risparmi per le casse pubbliche.

Queste sono solo alcune delle argomentazioni che mi portano a ricandidarmi nella lista di Milano Popolare a sostegno di Stefano Parisi. Queste sono alcune delle ragioni con cui chiedo al lettore (ed elettore) di confrontarsi, giudicare e scegliere. Queste sono alcune delle motivazioni per cui invito tutti l’8 aprile, alle h. 21, presso l’hotel Brunelleschi, in via Baracchini 12, a paragonarsi con le scelta di rinnovare un impegno.