Sulle pagine de ilsussidiario, Giorgio Vittadini e Luca Doninelli hanno dato, recentemente, una visione chiara di ciò che oggi Milano rappresenta. In verità, la nostra città è una grande metropoli internazionale: i suoi orizzonti culturali, economici e imprenditoriali sono, infatti, globali.
Per energia, capacità, formazione e creatività Milano è un punto di attrazione come poche realtà urbane al mondo. Lo dobbiamo all’intelligenza ma anche all’apertura intellettuale, umana e sociale dei suoi cittadini e di chi opera nei più svariati settori: dall’università alla ricerca, dall’educazione alla formazione professionale, dalle imprese alle società di servizi del terziario avanzato e alle fiere, dalle associazioni no profit alle opere di carità. E così via.
Acclarata la grande ricchezza, poliedricità e creatività che caratterizza Milano, a poco più di un mese dalle prossime elezioni amministrative, occorre porsi una domanda: qual è la responsabilità di chi intende governare la nostra città e gestire le sue potenzialità di fronte alle prossime sfide?
È del tutto evidente, innanzitutto, che i confini reali della città non coincidano con quelli che delimitano il suolo comunale. È sufficiente affacciarsi da uno degli alti palazzi per rendersi conto a colpo d’occhio che, in realtà, la Grande Milano si estende anche verso la Brianza, i Laghi, la Bergamasca, l’area bresciana, l’asse piacentino, il Piemonte e la Liguria, sino ad arrivare al mare.
Milano non è una città metropolitana, ma molto di più. Lo sviluppo del suo territorio è legato alla connessione delle reti e delle infrastrutture e, quindi, alla capacità di renderle sempre più funzionali e fruibili all’interno dell’area vasta.
Il tema delle reti e della mobilità, in un territorio così dilatato, non si esaurisce con l’accesso delle persone al cuore della città, ma investe anche la distribuzione di beni e servizi – con una moderna concezione della logistica – e l’intermodalità dei trasporti su aria, acqua, gomma e ferro. Non va dimenticato, inoltre, il potenziamento delle rotte aeree nella direzione del lavoro che già sta svolgendo la Sea. Riveste un ruolo centrale anche la diffusione della banda larga che, garantendo l’accesso al web da qualsiasi punto e luogo, rende immediata la connessione tra Milano e il mondo e viceversa. Con questa dimensione e con queste sfide dovranno fare i conti i candidati al governo e alla gestione della pubblica amministrazione.
Negli anni si è consolidata l’idea che la Pa potesse occuparsi di tutti i settori: dalla cultura all’educazione, dalla formazione alle politiche occupazionali e abitative… In verità, alcune iniziative avevano una ragion d’essere nel Dopoguerra, perché rispondevano a un’esigenza sussidiaria legata al bisogno di servizi essenziali per la gente. Mi riferisco, ad esempio, alle farmacie comunali o alla Centrale del latte. Altre ancora hanno promosso iniziative di eccellenza che fanno parte della storia di Milano, come il Teatro alla Scala o il Piccolo Teatro. Ma, in verità, questa concezione onnipresente e onnivora non fa parte della natura originaria della Pa; peraltro, la condizione attuale di bilancio dello Stato e degli Enti locali neanche lo consente.
Qual è, allora, il compito di un amministratore pubblico? Innanzitutto, la sua funzione è quella di creare le infrastrutture e i servizi che consentano alla comunità di agire, vivere ed esprimersi in forme culturali, educative, sociali, economiche e imprenditoriali. Ha, certamente, il dovere di garantire le opere pubbliche essenziali. Penso ai trasporti, alla viabilità e alle infrastrutture. Ma, allo stesso tempo, deve anche dare vita a scuole, spazi sociali, educativi e aggregativi creando le condizioni affinché qualcuno li gestisca.
A Milano, l’esempio virtuoso del coworking e la grande vivacità nel campo sportivo e sociale confermano che il compito della Pubblica amministrazione non è quello di sostituirsi alla comunità, ma di liberare le sue energie.
Don Luigi Giussani, in un intervento ad Assago nel 1987, disse che «è nel primato della società di fronte allo Stato che si salva la cultura della responsabilità. Primato della società allora: come tessuto creato da rapporti dinamici, tra movimenti, che creando opere e aggregazioni costituiscono comunità intermedie e quindi esprimono la libertà delle persone potenziata dalla forma associativa. […] Un partito che soffocasse, che non favorisse o non difendesse questa ricca creatività sociale contribuirebbe a creare o a mantenere uno Stato prepotente sulla società. Tale Stato (o Comune) si ridurrebbe a essere funzionale solo ai programmi di chi fosse al potere e la responsabilità sarebbe evocata semplicemente per suscitare consenso a cose già programmate; perfino la moralità sarebbe concepita e conclamata in funzione dello status quo, che chiamiamo anche pace».
Il pensiero di Giussani, contenuto nel testo “L’io, il potere, le opere”, conferma che i temi delle competenze e delle responsabilità diventano un punto centrale per avviare concretamente una vera gestione sussidiaria.
Qual è, a tal proposito, il pensiero degli aspiranti sindaci e, più, in generale di tutti i candidati alle prossime amministrative? Quali sono le rispettive priorità? Hanno intenzione di creare spazi, luoghi e ambiti che facilitino le capacità e la creatività dei cittadini e dei corpi intermedi?