Se non fosse stato per un paio di cenni che Giuseppe Sala ha fatto su ciò che lo differenzia da Stefano Parisi (importante, visto il tormentone della loro sovrapponibilità), l’appuntamento di giovedì sera organizzato dal Centro culturale di Milano non sarebbe sembrato un incontro elettorale.

Le regole della comunicazione vorrebbero che a questo punto della campagna, a quindici giorni dal voto, i toni si alzassero, che si toccasse qualche nervo scoperto per convincere gli indecisi e magari spingere qualcuno in più alle urne. Almeno secondo le regole di una comunicazione politica per come l’abbiamo vista finora (e come stiamo peraltro osservando oltreoceano).



Ma a Milano sta accadendo qualcos’altro. Capita in certe occasioni di accorgersi di quanto candidati, esperti e protagonisti della vita pubblica siano disponibili a confrontarsi su problemi e su scelte che riguardano la città, anche in modo argomentato e pacato, e di quanto gli stessi cittadini milanesi vogliano ragionare più su argomenti e temi urgenti per la città che su schieramenti politici. Non che in città non si senta il refrain “tutti ladri, tutti a casa”. Ma Milano è una realtà diversa, una città che pur non mettendo la politica al primo posto, ha sempre avuto poco a che fare con una dimensione anti-politica. Milano è da sempre un laboratorio per il resto d’Italia. Il caso è che se adesso il capoluogo lombardo inizia a credere nel suo protagonismo di grande città europea, potrebbe essere in grado di trainare tutto il Paese verso una ripresa politica, civile ed economica. Cominciando col dare prova di nuova fiducia nella vita pubblica e in chi ha l’onere di governarla.



In definitiva, da quello che ha detto Sala è uscita un’idea dei milanesi “poco italiani e molto europei, pragmatici, moderati in senso riformista e soprattutto post-politici”, come ha rilevato una recente indagine.

Forse il fatto che qui non si sta “mai con le mani in mano”, come recita una vecchia canzone milanese (e grazie a una disoccupazione più bassa che nel resto d’Italia), rende la popolazione meneghina poco propensa a ragionare in bianco e nero; la concretezza delle cose in cui è impegnata, forse la abilita maggiormente a cogliere le sfumature e a tenerne conto nel confronto, che deve essere sottoposto al dato di realtà, e deve arrivare alla scelta, normalmente accettando compromessi. Avere le mani in pasta, non guardare le cose “dal balcone” ha anche un altro vantaggio: più difficilmente fa sentire sudditi di un potere da cui ci si aspetta tutto e più facilmente fa sentire protagonisti, anche di una costruzione comune.



E’ vero che Giorgio Gaber nella sua canzone “Destra-Sinistra”, ironizzava sull'”ossessione della diversità” e sulla “scusa di un contrasto che non c’è”. Tuttavia tra quindici giorni bisognerà pur scegliere. Ecco allora, su diversi temi, i punti che Sala ritiene qualificanti rispetto al suo principale competitor Parisi, emersi dal dialogo con i cittadini radunati dal Centro culturale di Milano.

Urbanistica: Sala non ritiene che la città vada ulteriormente “densificata”, vale a dire che si debba costruire ancora, ma intende puntare sull’area metropolitana e sulla riqualificazione degli edifici, non su una nuova costruzione e soprattutto non sulla distruzione di suolo pubblico, tenendo conto che la domanda più pressante è quella della fascia di reddito medio-bassa, compresi giovani che vengono a studiare nelle università milanesi.

Accoglienza: in continuità con la linea del sindaco Giuliano Pisapia, che può vantare di aver accolto tanti migranti, per Sala Milano deve rimanere aperta al mondo e aperta ai cambiamenti perché “è dalla sfida dei cambiamenti che ha tratto la sua forza”. Qui “è la sua contemporaneità”. Qui è la sua storia.

Non si è fermato a questo Giuseppe Sala. Intervenendo su altri temi che probabilmente avvicinano il suo programma a quello di Parisi, ha toccato un nodo cruciale: “Se divento sindaco vorrei essere ricordato per aver messo mano alle periferie”. E questa è con tutta evidenza la priorità che entrambi i due principali candidati riconoscono: Milano deve diventare policentrica, anche nelle periferie deve esserci una vita, luoghi di aggregazione e di socializzazione, e il Comune deve valorizzare maggiormente le realtà che già vi operano con questi fini, smettendo di avere “il braccino corto”, ma concedendo più facilmente i suoi spazi.

L’ex commissario di Expo, infine si è soffermato sul tema della sinergia pubblico-privato, chiarendo che il Comune non deve necessariamente gestire i servizi ma governarli, accompagnando quello che già esiste. Ha aggiunto che avere tante realtà di privato sociale in campo è una grande risorsa. Ma che alla fine, è l’amministrazione che deve assicurarsi che l’utente finale sia soddisfatto.

Anche in quest’ottica Sala si è impegnato, se sarà eletto, a rivedere le procedure della pubblica amministrazione. Al momento ci sono troppe incertezze sui tempi e sulle procedure nel lavoro della macchina pubblica.

Sostanzialmente Sala ha dato l’impressione di guardare a Londra, alla grande Londra, come modello. In particolare per la capacità avuta, tramite una società pubblico-privata, di gestire la promozione delle eccellenze culturali londinesi in tutto il mondo. E di guardare pure una città sudamericana come Santiago del Cile, senza alcuna supponenza, per come è riuscita ad attrarre giovani imprenditori di start-up.

In definitiva Sala ha mostrato di avere una linea precisa in tempi di cosiddetta “post-politica”: “non avrei saputo svolgere il compito che ha svolto Pisapia, quello di riconnettere i cittadini con la politica. Io non avrei saputo farlo”, ma, aggiunge il candidato sindaco, “posso gestire una nuova fase della storia di questa città”.

Esiste un problema di risorse? Come l’esperienza Expo ha dimostrato, ha detto ancora, i privati mettono i soldi, si coinvolgono quando serve, a patto che si ragioni “in grande”.