Che cos’è, oggi, Milano? Che cosa rappresenta in Italia e nel mondo? E che cosa deve fare, la politica, ed in primis il suo sindaco e tutti coloro che la amministrano, affinché essa possa giocare sempre meglio il ruolo che la storia e l’operosità dei suoi abitanti le attribuiscono?
Ha ragione Antonio Intiglietta, sono queste le domande di fondo a cui i candidati sindaco dovrebbero rispondere (o poter rispondere, se la polemica politica non si fosse troppo attardata, sino ad ora, su temi decisamente meno rilevanti). Sono domande difficili, ma ad esse non possiamo sfuggire: hic Rhodus, hic salta. Per fortuna Milano è in tante cose una città fai da te, capace cioè di creare le condizioni per la soluzione dei problemi che il suo stesso sviluppo determina. Ciò è fondamentalmente dovuto al fatto che Milano ama il cambiamento, che il cambiamento è nel suo Dna, che è la sua passione e che è anche la cosa che le riesce meglio.
E’ stato così alla fine dell’800, con il passaggio dal commercio all’industria, quando Milano, oltre a mutare la sua forma fisica, si inventò il ruolo di “capitale morale”. Un ruolo in cui i valori dell’etica del lavoro e l’energica intraprendenza dell’individualismo borghese si fondevano con l’orgoglio municipalistico della comunità ambrosiana. E’ stato così con la ricostruzione postbellica, quando Milano seppe offrire all’Italia non solo un modello economico di sviluppo, ma anche un modello amministrativo e di integrazione sociale che resta insuperato. E’ stato così, ancora una volta, negli anni 70 e 80, quando Milano divenne l’epicentro del terremoto che investì l’intero apparato produttivo nazionale mettendo in discussione ogni cosa: gerarchie e localizzazioni produttive, contenuti del lavoro, esigenze formative delle nuove generazioni, scelte imprenditoriali e sindacali, comportamenti politici, rapporto Nord-Sud. E da cui seppe uscire mettendo a frutto tutte le competenze maturate nella sua stagione manifatturiera (organizzazione, capacità produttiva, mercato), trasformandosi nella capitale della moda e dei servizi.
Ed è così anche oggi. Milano è da dieci, quindici anni nel pieno di una delle più radicali trasformazioni della sua storia, che alcuni considerano una vera e propria metamorfosi. Una metamorfosi che per riconoscimento unanime di economisti, sociologi, antropologi, urbanisti e persino geografi ne ha fatto non solo l’indiscussa capitale italiana dell’economia della conoscenza, ma anche un nodo importante dell’economia globale. Ebbene, due sono le principali conseguenze di questo fatto.
La prima è un importante, anche se tutt’altro che lineare, cambiamento nel mondo del lavoro; la seconda è l’emergere, con assoluta rilevanza politica, del tema della forma metropolitana della città. I due temi si legano tra di loro. La città metropolitana, infatti, non è soltanto l’indiscusso motore dello sviluppo, è anche il principale “datore di lavoro” che oggi esista a Milano, nel senso che è proprio nel “crogiuolo urbano che le occasioni di lavoro si generalizzano e si diffondono con inefficacia ineguagliabile da parte di qualsiasi organizzazione d’impresa” (Giuseppe Berta, La via del Nord).
Naturale quindi che ci si ponga il problema, non solo dei suoi bisogni, ma anche del suo “governo”. E qui non posso che dirmi d’accordo con Intiglietta, non solo con l’elenco delle questioni rilevanti di governo che lui fa, ma anche sul fatto che il governo della città metropolitana debba essere innovativo esso stesso se vuole avere un senso. E poiché la legge non dice praticamente nulla al proposito, penso che toccherà a noi milanesi di inventarci un nuovo modello di governo, con molto pragmatismo, spirito sperimentale ed anche in stretta connessione con il governo nazionale, come accade ovunque in Europa.
Un modello capace di rompere la logica verticistica e chiusa del nostro sistema amministrativo, semplificandolo e passando ad un sistema “multilivello” in cui le decisioni vengano prese in un contesto multisettoriale nel quale la contrattazione e la collaborazione tra soggetti di varia natura occupino un posto di crescente rilievo. Destatalizzare per socializzare, insomma. Se non a Milano, dove?