Caro direttore,
in attesa del responso del ballottaggio tra Parisi e Sala, vorremmo offrire ai suoi lettori un primo bilancio dell’esperienza di Milano popolare, che ci ha visti coinvolti in prima persona insieme a tanti amici nel sostegno, che riteniamo determinante, per la candidatura di Stefano Parisi.
Abbiamo lavorato in questi mesi perché il centrodestra milanese potesse presentarsi unito davanti agli elettori. Per ottenere questo risultato occorreva una candidatura che sapesse far sintesi delle varie sensibilità di quest’area politica e sociale e che non fosse divisiva: Stefano Parisi è stata questa persona. Lo hanno riconosciuto tutti, soprattutto gli elettori, i quali di fronte a due proposte serie e chiare e non sovrapponibili, come in molti hanno tentato di dire, una di centrodestra e una di sinistra, hanno premiato la politica e non la protesta dell’antipolitica.
A Stefano Parisi abbiamo voluto dare il sostegno di una lista che avesse le stesse caratteristiche della sua candidatura: una lista inclusiva, che avesse al centro il bene comune e la sussidiarietà, il protagonismo dei milanesi nell’affronto dei loro bisogni (“il grande cuore di Milano”), l’attenzione di cogliere le domande dei cittadini e di aiutare chi già offre le risposte, e il ritorno di Milano a una capacità di visione e di progettualità del proprio futuro. Milano popolare è innanzitutto questo contributo di contenuti alla proposta di Stefano Parisi, perché non basta dire che chiunque amministrerà la città coinvolgerà l’iniziativa privata nell’erogare i servizi.
C’è modo e modo di coinvolgere: c’è chi porta avanti l’idea che il Comune debba continuare ad occuparsi di tutto e appoggiarsi sulla società solo laddove non ce la fa ad arrivare (visione antisussidiaria che finisce per schiacciare il privato sociale sotto il peso di bandi a progetto o la mera esternalizzazione che va a scapito della qualità) e chi vuole invece finanziare la domanda anziché continuare e spendere molto nell’organizzare l’offerta. Milano popolare, già nel nome scelto, ha fatto confluire nel programma di Parisi le buone pratiche che argomentano la convenienza della seconda opzione. E avendo, quindi, come orizzonte la rigenerazione di una proposta politica credibile si è costruita una lista che andasse oltre il perimetro di un solo partito, offrendo la possibilità a consiglieri comunali uscenti di ricandidarsi (è il caso di uno dei firmatari di questa lettera e di Carmine Abagnale) e a ex assessori come Stefano Pillitteri di dare il contributo della loro esperienza. Hanno voluto coinvolgersi in questo libero e coraggioso tentativo giovani imprenditrici e imprenditori, affermati professionisti e professioniste, rappresentanti dell’associazionismo come la presidente di “Vittime della violenza”, esponenti di comunità di origine straniera. C’era con noi l’ex rettore del Politecnico di Milano Adriano De Maio e l’avvocato Daria Pesce, il magistrato Antonia Macchini. Lo spazio non ci permette di citarli tutti, ma a ognuno diciamo grazie.
La sfida più difficile è stata affermare un simbolo, Milano popolare, che era una novità per i milanesi. Tutti hanno lavorato per questo più che per se stessi, in primis chi poteva cullarsi nella rendita di incarichi nazionali e invece ha preferito rimettersi in gioco e mettersi a disposizione di tutti per creare le condizioni affinché il frutto del lavoro di cinque anni in Consiglio comunale e nelle zone e di tante esperienze e culture politiche della nostra città non andasse perduto.
La nostra prima risorsa (quelle finanziarie erano poche) è stata la presenza nei quartieri, nelle strade, nei mercati. È significativo di questo lavoro il fatto che i voti per i Consigli di zona (in una, la quinta, il presidente eletto è di Milano popolare, Alessandro Bramati) superino quelli per il Consiglio comunale (20mila a 16mila), e che la seconda donna più votata nelle circoscrizioni sia Deborah Giovanati, giovane mamma del quartiere Niguarda che ha raccolto 624 preferenze, la quale così racconta la sua campagna elettorale: “Camminando per le nostre vie e incontrando famiglie, giovani e anziani ho avuto modo di confrontarmi con alcune problematiche ed esigenze comuni cui è necessario far fronte e che non possono essere trascurate. Ho sempre pensato che se si vuole incidere e cambiare il luogo in cui si vive è necessario implicarsi in prima persona, impegnandosi là dove ci si trova, con gli strumenti che si hanno a disposizione”.
Ma crediamo che il significato più vero della nostra presenza sia ben riassunto dal messaggio ricevuto il giorno del voto da una nostra candidata, giovane manager aziendale: “Dottoressa, sono il consulente che ha aiutato prima per trovare la sezione di voto. È stata di una gentilezza ed educazione rare. Sono venuto per votare Pd come sempre e sono uscito votando lei. Una giovane e bella ragazza che invece che essere a divertirsi al mare è lì seduta in un angolo con il suo pc perché oltre che lavorare per il bene comune sta mandando email di lavoro. Queste sono le persone a cui dare in mano Milano. Complimenti vivissimi e in bocca al lupo. La politica non è meritocratica, ma la vita sì, e lei ha già vinto”. Lei alla fine ha preso 54 preferenze, ma per noi di Milano popolare la sua esperienza ha lo stesso valore di quella di chi ne ha prese molte di più.
Questo lavoro ci fa dire allora che non è indifferente chi amministrerà Milano, chi avrà il compito del governo della città e non della sua gestione. In discontinuità con la giunta Pisapia (i cui assessori sono ridiscesi in campo), con il suo immobilismo, con il suo centralismo invadente soprattutto nel settore del welfare a Milano si può cambiare. Il 19 giugno questo cambiamento ha una possibilità e un nome: Stefano Parisi.
Grazie per l’ospitalità.
Maurizio Lupi
Matteo Forte