Il capo della polizia Franco Gabrielli, dalla zona di frontiera con la Francia dove i contestatori No borders manifestavano a sostegno dei migranti che Parigi non lascia passare, ha rinnovato l’impegno del governo a trasferire le centinaia di migranti che bivaccano nella zona.
La situazione è talmente grave che persino i violentissimi No borders hanno ridotto la loro manifestazione.
L’Italia crea i centri di accoglienza distribuendoli sul territorio, ma nella consapevolezza che la spinta dei migranti è al Nord, verso le frontiere, verso i viaggi della speranza che hanno spesso come obiettivo i paesi del Nord Europa. Per questo Francia, Svizzera e Austria fanno resistenza ai passaggi, e per questo la condizione precaria dei migranti che tentano di passare si accentua.
Alla stazione di Milano si misura tutta la tensione di questa grande situazione di precarietà. Nel centro di accoglienza di via Sammartini, posto nei locali sotto la ferrovia, sono attualmente accolti 450 migranti in ambienti atti a 150 posti, da qui l’appello delle associazioni Arca e Asvi, che gestiscono il centro, a trovare altri luoghi.
L’assessore Majorino si fa megafono di questa richiesta, dice che a Milano ci sono 3.300 immigrati accolti e non ci sono più posti. Il sindaco Sala ha esaminato la possibilità di utilizzare tende nei pressi della stazione, ma infine ha dichiarato che non accetterà nessuna “tendopoli”. Evidentemente il problema del consenso politico pesa anche su Sala, che cerca di resistere alle richieste del governo.
Il prefetto Marangoni sta esaminando il negativo atteggiamento di Maroni, presidente della Regione Lombardia, che ha impedito l’utilizzo delle aree Expo.
Naturalmente l’opposizione di centro destra al governo Renzi si caratterizza per l’opposizione alla creazione dei centri, arrivando ad affermazioni incentrate sul pericolo del terrorismo che si infiltra fra i migranti. Senza considerare che proprio il califfato e le altre bande di terroristi che operano in Africa e in Medio Oriente provocano le fughe di massa per avere un più facile controllo delle loro zone di insediamento. La stragrande maggioranza dei migranti sono profughi dalle guerre e dalla povertà delle zone destabilizzate dalle guerre.
Non metto in discussione il rifiuto di utilizzare le aree di Expo per fare centri di accoglienza; la destinazione di queste aree è strategica per il futuro di Milano. Ma Milano deve fare di più, non è vero che la città scoppia a causa del numero di accolti. Per la forza economica della città e per il suo ruolo importante, credo che Milano debba avere come criterio di farsi carico del 10 per cento del flusso migratorio da gestire come accoglienza.



Posto questo criterio, Milano deve decidere di fare azioni adeguate, organizzare centri in palazzi dismessi del Comune, sostenere le associazioni che si sono dimostrate capaci di gestire, attivare mediatori sociali e attività educative al fine di rendere utile il tempo che i migranti trascorrono nei centri di accoglienza. Perché si sente eccome l’impatto di questi uomini e donne se sono lasciati a girovagare solo in attesa di soluzioni impossibili.
In tema di politiche di integrazione, a Milano eravamo all’avanguardia nei primi anni ottanta, ma negli anni novanta abbiamo cambiato atteggiamento, lasciando che la penetrazione dei migranti accadesse spontaneamente; non abbiamo più favorito l’associazionismo etnico, non abbiamo sviluppato le attività educative e non abbiamo attivato le capacità abitative presenti nelle diverse zone della città. Per questo ci sono zone di Milano soggette a un cambiamento identitario forte, che mette a disagio i cittadini. Ci sono eccessi di attività di venditori ambulanti e eccessi di mendicanti professionisti.
Insomma, dobbiamo smetterla di fare politiche di emergenza, e dobbiamo invece rendere stabile il ruolo di accoglienza della città. Ovvero dobbiamo riconoscere il compito che la realtà ci assegna, senza colorare di tendenze politiche le cose che sono invece parte integrante del bene comune.

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