“Quando sono arrivato in Italia negli anni 70” racconta Benaissa Bounegab, presidente della Casa della Cultura Mussulmana di viale Padova a Milano, ai margini dell’incontro tenutosi nel loro centro, “Le sfide dell’educazione in una società plurale”, “non mi sono mai sentito uno straniero. Non sentivo di essere in un paese straniero, all’università nessuno me lo faceva sentire, le usanze mediterranee, le usanze degli italiani erano anche le mie. Nessuno mi ha fatto sentire di non appartenere a questo paese”. Oggi la realtà è diversa: l’immigrazione è un fenomeno di massa e il terrorismo di matrice islamica spaventa i residenti dei vari paesi europei. L’integrazione diventa impossibile, si guarda al diverso come a un possibile nemico: “Rinchiudere gli immigrati provenienti dal mondo islamico in un angolo, impedendo loro di esprimersi con luoghi di culto e di vita pubblica è la cosa peggiore, vuol dire fomentare il sentirsi esclusi scatenando la rabbia di poche ma pericolose persone”. Per Benaissa Bounegab il dialogo è sempre stato il punto da cui partire. Dopo gli attentati in Francia, scrisse sulla sua pagina Facebook: “Se dovesse succedere pregate per noi in quanto da quarant’anni abbiamo lavorato solamente per la convivenza e per il bene della nostra città”.



Il clima è cambiato notevolmente da quando lei si trasferì in Italia dall’Algeria, oggi c’è paura e diffidenza nei vostri confronti, è così?

In Italia siamo fortunati perché non abbiamo i problemi che hanno paesi come il Belgio e la Francia e ci sforziamo perché questi problemi non nascano anche qui. In Italia anzi manca proprio un modello di riferimento, ma non importa, perché quel modello lo dobbiamo costruire noi tutti ogni giorno, insieme, non isolandosi, ma facendo sì che ognuno possa contribuire.



Eppure il fatto di dovervi trovare a pregare in un capannone abbandonato non vi fa sentire trattati come cittadini di serie B?

Credo che ogni cittadino abbia il diritto di avere un posto dove pregare. Va bene farlo anche a casa propria, in famiglia, ma oggi viviamo momenti difficili a causa del terrorismo, il che impedisce il riconoscimento pubblico di luoghi di preghiera. Ma possiamo superare questi momenti difficili.

In che modo?

Se il luogo di preghiera fosse pubblico, aperto, sarebbe anche più trasparente e più facile per chi di dovere controllare cosa vi viene detto. Noi chiediamo solo quello, siamo anche disposti a pagare noi le spese per una moschea. Chiediamo un po’ di riguardo per tante persone che ogni mattina si alzano per andare a lavorare, che abbiano una casa per la preghiera. Non è giusto usare due pesi e due misure tra i cittadini.



Quello che succede in paesi come la Francia, dove giovani di quarta generazione locale diventano terroristi, è il simbolo del fallimento dei valori occidentali?

L’Europa sta vivendo una crisi di degradazione molto forte, le crisi economiche influenzano e modellano le persone e il loro modo di pensare. Quello che succede è una guerra fra poveri: chi non trova lavoro pensa che la colpa sia dello straniero che glielo ruba. 

E’  anche la mancanza di una educazione forte da parte vostra verso i giovani?

Il mondo musulmano vive un momento di travaglio, la gente scappa dai propri paesi senza sapere che l’Europa è in crisi profonda. Una volta ho chiesto a un giovane che era arrivato qui dall’Africa se non avesse avuto paura di morire nel viaggio e mi ha risposto: preferisco farmi mangiare dai pesci che morire in miseria. Questa è la realtà. Non si emigra mai per piacere, si emigra per trovare libertà, possibilità di studiare e di lavorare.