L’ambizioso progetto di riaprire i Navigli a Milano torna nel dibattito politico locale. Purtroppo con i toni e la scarsa capacità di visione che contraddistingue gli attori di questo periodo storico. In primis il sindaco di Milano Beppe Sala che, preso dall’ansia “manageriale” di produrre qualche risultato concreto che fino ad ora la sua amministrazione non è ancora stata in grado di mostrare alla città (un esempio su tutti il colossale Piano periferie ridotto ad un bando da mezzo milione di euro), sta giocando al ribasso. Dopo aver detto di no al referendum consultivo, ora si ricrede e propone di accorparlo alle prossime regionali. Sempre per risparmiare soldi pubblici, beninteso. Tuttavia un referendum cittadino c’è già stato nel giugno 2011 e uno specifico quesito relativo alla riapertura della Darsena e del sistema dei Navigli milanesi ottenne il 94,3 per cento di pareri favorevoli. Ora, se la democrazia ha ancora un senso, a maggior ragione in un tempo di crisi delle istituzioni e sfiducia nei politici, si deve rispettare il responso delle urne. 



La proposta avanzata dal sindaco Sala lo rispetta? A mio parere no, per un semplice motivo: l’idea di scoperchiare dei tratti entro il 2022 risponde più ad una logica di corto respiro che al rispetto del mandato ricevuto dagli elettori di riaprire e attivare il “sistema Navigli”. Dove sta la differenza è presto detto. Con 150 milioni “trovabili” nel solo bilancio del Comune, Sala vorrebbe impegnarsi a realizzare entro fine mandato cinque tratti (Melchiorre Gioia, Conca dell’Incoronata-San Marco, Sforza-Policlinico, Piazza Vetra e la conca di Viarenna che è la più vicina alla Darsena), per un totale di due chilometri sui sette complessivi dei corsi d’acqua che attraversano Milano. Nei fatti si tratta di piscine a cielo aperto, come qualcuno le ha definite, collegate con tubi sotterranei in cui scorre e arriva l’acqua.



Il cuore della questione, invece, e su cui la “Milano vicina all’Europa” (come cantava Lucio Dalla) dovrebbe avviare una riflessione pubblica seria, è quello della navigabilità. Per sottrarre il tema al giochino dell’alternativa unica che tanto piace al dibattito mediatico, i Navigli non possono essere usati come simbolo di novelli ambientalisti contro presunti cementificatori, ma vanno trattati per quello che sono sempre stati: un sistema multifunzionale che comprendeva tanto il trasporto quanto l’irrigazione utile all’attività agricola che ancora oggi circonda Milano. In quest’ottica è chiaro che le “piscine” di Sala sono solo un costo per il Comune, che in tal modo distoglierebbe risorse alle urgenti opere pubbliche (case e quartieri popolari su tutti).



Se, al contrario, il dibattito inserisce la riapertura del “sistema dei Navigli” nella giusta prospettiva, anche il problema del reperimento delle risorse per la realizzazione e manutenzione può trovare altre soluzioni. È qui il caso di citare la grande opportunità offerta dai Fondi strutturali europei che applicano direttive comunitarie sulle acque (2000/60) e alluvioni (2007/60), con l’obiettivo di migliorare l’ambiente di fiumi e corsi idrici per riqualificare e rilanciare i territori e le comunità. 

Il sistema dei Navigli e la sua multifunzionalità devono essere il cuore di un dibattito che mira non tanto ad “abbellire” Milano, quanto a migliorarne la qualità della vita. Non è un caso che chi scrive ha inserito un apposito emendamento per adattare il traffico nella Cerchia dei Bastioni alla riapertura dei Navigli già con la fine dei lavori per la linea 4 della metropolitana. Non è un caso, cioè, che il discorso sia stato inserito volutamente nel Piano urbano di mobilità: la navigabilità, con lo sviluppo della cosiddetta mobilità dolce, deve essere uno dei principali obiettivi della riapertura dei corsi d’acqua ad oggi interrati. Essa potrebbe portare vantaggi per la trasportistica di utenti dei mezzi pubblici, ma anche per l’approvvigionamento e distribuzione di merci che non hanno l’urgenza della consegna immediata; così come potrebbe avere indubbie potenzialità dal punto di vista turistico, collegando con un solo e continuo corpo idrico siti quali San Marco, palazzo del Senato con l’Archivio di Stato, la Ca’ Granda, fino alla Basilica di San Lorenzo, e contribuendo a rilanciare l’immagine e l’attrattività della città.

Ciò comporterebbe anche un incremento per le attività commerciali limitrofe, oltreché un aumento del valore degli immobili che affacciano sui Navigli. Secondo gli esperti anche sul piano energetico potrebbero verificarsi miglioramenti per Milano, per esempio attraverso l’installazione di microturbine approfittando dei salti d’acqua per la produzione di elettricità. Se il tracciato che ci si ripropone di aprire diventa “sistema”, l’operazione avvantaggia tutta l’area metropolitana, perché collegherebbe l’Adda, il Ticino e il Po, passando anche dal centro e dalle periferie milanesi. Intese sia come quartieri popolari che come comuni dell’area vasta.