Vedendo il dato dei contagi di ieri – 1.071 nuovi positivi nelle ultime 24 ore – è facile ricordarsi quando, ai primi di marzo, superammo per la prima volta la soglia dei mille contagi giornalieri. È facile, oggi, pensare di essere tornati indietro, quando a inizio maggio avevamo ancora mille nuovi contagiati al giorno. Ma, come ha fatto notare Il Post, “i numeri del 14 maggio e quelli del 21 agosto sul contagio da coronavirus sono simili solo per quanto riguarda i nuovi contagiati. Il 14 maggio le morti legate al coronavirus erano state 262, il 21 agosto 9; le persone ricoverate in terapia intensiva erano 855, oggi 69; i ricoverati in altri reparti erano 11.453, oggi 919; quelli in isolamento domiciliare erano più di 64mila, oggi sono 15.690”.



Il professor Pregliasco, virologo e edirettore dell’Ospedale Galeazzi di Milano, ci spiega che la situazione non è la stessa che avevamo nella fase discendente della curva epidemica, ma è più simile a quella in cui ci trovavamo a gennaio-febbraio, quando il virus già circolava, ma con pochi casi gravi: “Solo che allora non riuscivamo a vedere quanti erano i contagiati senza gravi complicanze. Invece oggi sì”. Quindi non serve l’allarme, ma solo “capire che dovremo convivere con il virus”.



Come va inquadrato il sorpasso dei mille nuovi contagiati giornalieri?

È una soglia psicologica che a mio avviso serve a far capire che con questo virus bisogna convivere.

Ma il rischio è quello di entrare in uno stato di allarme. Basta guardare i maggiori giornali online.

Io invece vedo il lato positivo: il virus continua a essere presente, quindi più casi ne vediamo, più riusciamo a controllarne. I mille casi di oggi non valgono come i mille casi della fase di discesa della curva, perché la gran parte di questi un tempo non li avremmo intercettati: oggi molti sono asintomatici, giovani che non hanno grossi guai. Ma che sono comunque un rischio, quindi meglio tracciarli.



Quindi i nuovi contagi stanno aumentando, ma tra di loro aumenta la percentuale di asintomatici?

Esatto, proprio grazie a questa nostra accresciuta capacità di individuarli.

Nel resto d’Europa il numero dei contagi si è alzato prima. Perché?

Per la durata del nostro lockdown: siamo stati i primi a cominciare e tra gli ultimi a finire.

Il numero di terapie intensive resta basso non solo da noi, ma anche in Europa. È un elemento tranquillizzante?

È questo l’elemento importante. In questo momento ci troviamo come a dicembre-gennaio, quando il virus già c’era ma tanti soggetti erano “sotto il pelo dell’acqua”. Come in un iceberg, la parte subacquea era più grande, ma noi dell’insieme dei contagiati vedevamo solo la parte emersa: i soggetti più fragili, quelli che mostravano le complicanze più gravi. Ora siamo come a dicembre-gennaio, ma riusciamo ad andare sott’acqua e conteggiare gli asintomatici.

E questo è necessario per convivere col virus?

Sì. Ora dobbiamo migliorare ancora la nostra capacità di tracing e non fare sgambetti alle strutture che se ne occupano.

Ogni contagiato è un possibile malato grave?

Il contagiato è un soggetto infetto, che spesso si ammala poco. Alcuni colleghi fanno un distinguo tra contagiato e malato, io direi “poco malati” anche se non ha sintomi. Le dico “poco” e non “nulla” perché non sappiamo ancora se un soggetto asintomatico possa avere delle conseguenze di tipo neurologico, o altro.

A che tipo di conseguenze neurologiche fa riferimento?

L’asintomatico non ha evidenza di patologia acuta, ma molte patologie fanno vedere i loro effetti in un tempo più lungo. Di questa malattia sappiamo che a livelli più gravi dà anche dei disturbi neurologici, e non si può ancora valutare se per un asintomatico ci siano rischi di questo tipo, quindi è sempre meglio non entrare in contatto col virus.

Sempre più regioni parlano di chiusure, ad esempio la Campania. Ha senso ipotizzare nuovi lockdown?

Per ora no, sono opzioni da prendere in considerazione in futuro ma in modo limitato, con dei lockdown selettivi. Ma non siamo ancora a quei livelli, e c’è la possibilità di non arrivarci.

Sono state chiuse le discoteche. Quali sono altre attività sono a forte rischio contagio?

Alcune attività agricole, o gli spedizionieri. E poi ogni situazione che ammassa persone, come ad esempio nei centri di accoglienza.

La scuola si deve aprire?

Io dico di sì, anche se certamente sarà uno stress test. E non sarà facile soprattutto nella fase iniziale organizzare nel modo migliore possibile la situazione. Capisco lo stress dei presidi, è lo stesso che ho avuto io quando abbiamo riorganizzato in tutta fretta il Galeazzi di Milano, l’ospedale che dirigo, nelle prime fase dell’emergenza Covid.

Per la scuola il commissario Arcuri ha previsto due milioni di test sierologici da fare in tre settimane. Non sono troppi in troppo poco tempo?

Non sarà facile farli, ma a mio avviso la potenzialità c’è. Anche dal punto di vista della capacità di fare i tamponi siamo cresciuti molto, glielo dico perché me ne sono occupato in prima persona. È fattibile fare un numero di test del genere, la parte più difficile sarà la pianificazione dei prelievi.

(Lucio Valentini)

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