“Salvo intese”, il decreto Milleproroghe è passato. O salvo risse, ovviamente. Comunque è passato. E dentro di sé porta alcune piccole decisioni, o meglio ancora non-decisioni, che la dicono lunga sulla stabilità politica del governo, o meglio sulla sua instabilità.

Tanto per cominciare, è saltata la prevista norma che avrebbe dovuto “assicurare la continuità” delle funzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione dopo le dimissioni, tanto garbate nella forma quanto clamorose nella sostanza, dell’ex capo-superman Raffaele Cantone. Ma non basta: c’è anche un altro paio di dettagli che sarebbe sbagliato lasciarsi sfuggire. Dal Milleproroghe è anche saltato il cambio del vertice Sport e Salute Spa, la società che ha sostituito da quest’anno Coni Servizi. Rocco Sabelli, in polemica col ministro Spadafora, si è dimesso: e non è stato sostituito; e sono state fatte slittare a marzo le nomine dei vertici di Agcom – la potente autorità per le garanzie nelle comunicazioni – e per la Privacy.



Cosa significa? Significa che i partiti della maggioranza – diciamo così – che regge il governo giallorosso sono in rotta su tutta la linea; paventano in maggior parte, e auspicano in minima, che si vada al voto anticipato; guardano con il fiato sospeso all’esito delle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna e della Calabria, in programma per marzo. E che sono tutti concentrati, sia pure con intensità diversa e direttamente proporzionale alla dimestichezza col potere (massima nel caso di Matteo Renzi, minima nel caso di quella branca di scappati di casa che sono i grillini), sulle nomine di marzo-aprile.



Già: perché in primavera scadono i vertici delle grandi società quotate a controllo pubblico, come l’Eni e l’Enel. E lì non si scherza: i mercati giudicano, il governo non può permettersi di rinviare le nomine in cerca di intese, crollerebbero i titoli in Borsa. Dunque, ammesso e non concesso che il patatrac non arrivi prima, a marzo il governo dovrà decidere chi mettere al vertice dell’Eni, dell’Enel ma anche di Terna, Leonardo, Poste Italiane ed Enav. Accanto a queste nomine pesantissime, quelle ai vertici delle Authority sembrano poca cosa, ma sono in realtà altrettante preziosi monete di scambio.



Per quale ragione i partiti tengano a piazzare al vertice di queste grandi società persone gradite è presto detto: al di là delle frasi fatte e dell’indignazione di facciata, il capo dell’Eni o dell’Enel ha mille modi per aiutare un candidato politico rispetto a un altro, al momento delle elezioni; il sottopotere che deriva dal fatto di aver occupato simili caselle con una persona gradita è incalcolabile. E di queste logiche Matteo Renzi, che con la sua pur piccola Italia Viva è diventato il “Ghino di Tacco” della maggioranza, l’ago della bilancia che può staccare la spina in ogni momento, è il re. Non crede ad altri che a se stesso, è sospinto unicamente dal desiderio di potere e di primato. Vuole comandare, e sa che si comanda anche attraverso le nomenclature pubbliche.

Appuntamento a marzo, dunque, con il carniere pieno di prede da assegnare.

Speriamo che in questo carniere non sia destinato a finire anche Daniele Franco, designato ieri dal Consiglio superiore della Banca d’Italia alla carica di direttore generale, lasciata libera dal neopensionato (e neopresidente di Tim) Salvatore Rossi. In Banca d’Italia dal ’79, tra il 2013 e il 2019 è stato Ragioniere generale dello Stato ed è rientrato poi in via Nazionale come vicedirettore generale. La designazione di ieri deve essere ora approvata con decreto del presidente della Repubblica, promosso dal presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il ministro dell’Economia, sentito il Consiglio dei ministri. Quindi anche la nomina di Franco rientra tra quelle lottizzabili. Che si debba attendere fino a marzo?