Da tempo le discussioni attorno alla minaccia jihadista sono polarizzate tra la ferma condanna e l’accettazione, senza che vi sia una linea di mezzo, in cui si cerchi di indagare le origini, e magari le motivazioni, del movimento che ha sconvolto a lungo l’Europa. Per parlare proprio di questi argomenti, il quotidiano francese Le Croix ha intervistato Hugo Micheron che ha consegnato un dottorato in scienze politiche proprio sul jihadismo europeo.
Ci tiene a mettere le mani avanti sottolineando che la minaccia jihadista, anche sé se ne parla sempre meno, è ancora attuale e presente, forse addirittura più forte di prima. “Se vogliamo essere all’altezza della sfida”, avverte, “dobbiamo guardare all’impresa jihadista per ciò che è intrinsecamente e allargare la nostra attenzione”, lasciando da parte le polemiche e i dibattiti fini a loro stessi. Secondo lui la minaccia jihadista “è un fenomeno religioso-politico” che affonda le sue origini in parte nell’emarginazione socio-culturale, ed in parte in un certo sentimento religioso. Distinguere o negare uno dei due motivi per la radicalizzazione, spiega, “è controproducente perché i jihadisti cercano di sfruttare le falle dei nostri dibattiti” sfruttando e strumentalizzando le nostre domande.
L’esperto: “La minaccia jihadista va compresa”
Andando oltre nella sua analisi sulla minaccia jihadista, l’esperto ritiene che “i veterani del jihadismo avevano già individuato chiaramente le linee di frattura nelle democrazie occidentali”, ma avrebbero “sottovalutato la capacità di reazione” delle stesse, che in breve sono riuscite a sgominarle. “Da allora, tuttavia, siamo passati a circa 6.000 militanti in Europa, la maggior parte dei quali è cresciuta [qui] e pensa in termini più politici e sofisticati rispetto ai suoi predecessori”.
Pertanto, contro la minaccia jihadista Micheron ritiene “urgente sensibilizzare l’opinione pubblica senza aspettare una nuova ondata di attentati. Dobbiamo essere in grado di dotarci collettivamente degli strumenti per comprendere il jihadismo senza cadere nei cliché delle scuse o delle generalizzazioni”. Sostiene che a differenza del passato, ora “abbiamo a che fare con militanti che hanno un progetto e dei metodi per realizzarlo. Hanno un’agenzia, una consapevolezza di essere e di muoversi”, e mentre la nostra comprensione della minaccia jihadista è migliorata, “c’è ancora margine di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda un migliore collegamento tra i temi della radicalizzazione e del jihadismo e l’immigrazione e l’Islam”.