Mino Raiola me lo ricordo dopo quel famoso Milan-Juventus a San Siro, quando Muntari segnò il gol del 2-0 e la quaterna arbitrale (allora non c’era la Var-Room) non se ne accorse. Finì 1-1 e i rossoneri finirono dentro una crisi esistenziale: lo scudetto lo vinse Madama. Mino Raiola andò ad arringare i giornalisti sull’ingiustizia, con una foga che non ebbe neanche Adriano Galliani. Per dire che Mino Raiola, nell’immaginario popolar-calcistico il procuratore che pensa solo al denaro, ai trasferimenti dei campioni (che amiamo) per lucrarci sopra, in realtà non pensava solo ai soldi, ma anche al successo dei propri assistiti.
Infatti, al più famoso dei suoi assistiti, Zlatan Ibrahimovic, spiegò che i soldi non sono niente, senza l’affermazione personale. Mino, battezzato Carmine, Raiola se n’è andato a neanche 55 anni. Era nato a Nocera Inferiore ma quando aveva un anno i genitori si erano trasferiti in Olanda. Lì, ad Haarlem, scoprì di capire di giocatori, o per lo meno questo pensò il presidente della locale squadra che andava a cena nel ristorante della famiglia Raiola e si trovava questo giovanotto che gli spiegava come e dove stava sbagliando con la gestione.
“Allora perché non vieni tu a fare il direttore sportivo?” gli disse quello, spazientito. Perché preferì l’altra faccia di quel mestiere, il procuratore. Entrambi devono intravedere i futuri campioni, investirci, lanciarli. Certo Mino Raiola ha preso anche gente già affermata, come Mario Balotelli o, per un certo periodo, Lorenzo Insigne, ma la sua forza era l’intuizione dal basso. Così ha affiliato alla sua scuderia Ibrahimovic, Pogba, De Ligt, Haaland e, il giocatore per cui lo conoscemmo, Pavel Nedved.
La prima immagine che ho di Mino Raiola, infatti, è a Parigi, nel dicembre del 2003, alla cerimonia della consegna del Pallone d’oro, vinto dal furente ceco. Pavel alla centesima intervista disse che pensava di ritirarsi nel giro di due anni. “Sì, stai fresco” si sentì bofonchiare da dietro le quinte. Era lui, Carmine detto Mino nato a Nocera Inferiore, ma emigrato con la famiglia in Olanda quando non aveva ancora un anno. Infatti, delle sette lingue che parlava, quella meno “fluent” era l’italiano. Nelle case degli emigranti, infatti, si usa il dialetto. In ogni caso si faceva capire.
Dite la verità, quando pensate ai procuratori dei calciatori, la categoria più disprezzata nell’ambiente del calcio (se la battono con i giornalisti per il primo posto), quando vi volete fare un’immagine del prototipo di costoro, brutto, sporco e cattivo, ricorrete a lui, a Mino Raiola. Certo, non si presentava bene, ma non è che gli altri, con i vestiti di sartoria, alla fine facessero cose diverse. Come i colleghi, Mino Raiola faceva alla grande gli affari dei suoi assistiti e quindi i suoi. Come tutti noi, in fondo, ma quando c’è di mezzo il calcio scatta il fattore tifo e la ragione arretra.
Eppure Mino Raiola era solo un professionista che cercava di ottenere un buon stipendio per i suoi calciatori e una buona percentuale per lui. Nedved continuò per altri sei anni ed è stato l’unico che, a un certo punto, non ha accettato la squadra che Raiola aveva trovato per lui. Nel 2009 Mourinho lo voleva all’Inter. Pavel avrebbe vinto il Triplete, ma nel frattempo era diventato juventino e abbandonò il calcio.
Di sicuro non puntava la pistola alla tempia di nessuno. Non volete rinnovare un contratto a certe cifre? Fate come il Milan che, nel 2021, ha lasciato partire Gigio Donnarumma a parametro zero. Insomma i procuratori fanno la grana perché le società gliela danno, quando sento parlare di ricatti mi viene da ridire. E poi, anche se fosse ricatto, oggi favorisce un club e domani un altro. La ruota gira. Su di lui si sono sprecate molte inesattezze, l’ultima ha riguardato la sua morte, annunciata da prestigiose testate con largo anticipo. Adesso invece, come si dice di un affare concluso, c’è la firma.
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