Secondo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale – emessa oggi, redattore il vicepresidente della Consulta Giuliano Amato – non sono fondate le censure alle norme sui limiti massimi di pena previsti per consentire ai condannati minorenni di accedere alle misure di comunità dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare.



La sentenza numero 231 depositata oggi 2 dicembre 2021 di fatto rigetta le censure formulate dal Tribunale per i minorenni di Brescia: a suo tempo, il giudice aveva sostenuto che «nel subordinare l’accesso alle misure alternative a condizioni analoghe a quelle previste per gli adulti, le disposizioni censurate conterrebbero un automatismo e impedirebbero una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di socializzazione cui è volta l’esecuzione penale minorile.». La Corte oggi ha però osservato come la disciplina delle misure di comunità per i minorenni «si discosta da quella prevista dall’ordinamento penitenziario per gli adulti e, anzi, amplia le possibilità di applicazione delle misure extramurarie, come richiesto dalla legge delega».



MINORI, LA SENTENZA DELLA CONSULTA

In questo modo la sentenza della Consulta riconosce che le disposizioni censurate «realizzano una ponderazione degli interessi coinvolti che è espressione non irragionevole di discrezionalità legislativa». Resta inoltre fermo e garantito dalla Corte Costituzionale che ai medesimi fini «assetti più flessibili e attributivi di maggiori spazi per una valutazione giudiziale – così come era stato previsto, per entrambe le misure penali di comunità in esame, dall’originario schema governativo di decreto legislativo – risulterebbero particolarmente appropriati». Le norme ritenute dal Tribunale di Brescia da censurare, scrive in ultima analisi la Consulta, «non introducono un automatismo contrastante con la funzione di reinserimento sociale del condannato né comprimono le esigenze di individualizzazione del trattamento penitenziario minorile, derivanti dai principi costituzionali di protezione dell’infanzia e della gioventù e di finalizzazione rieducativa della pena».

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