“MINORI TRANS, LIMITE SUPERATO: SIAMO ALLA MEDICALIZZAZIONE DEL DISAGIO”: PARLA LA SOCIOLOGA EX MOVIMENTO LGBTQ

Un conto è l’accompagnamento e la vicinanza, anche psicologica, di fronte ad una “confusione” sul proprio genere e la propria attrazione: un’altro è lo sdoganamento di operazioni e farmaci per rendere i minori trans, spacciando il tutto per una questione “normalissima” che addirittura debba essere riconosciuto come diritto sacrosanto. Questo e molto altro racconta in un bell’intervento su “Il Foglio” Daniela Danna – sociologa e già docente presso il Dipartimento di Studi Sociali e Politici dell’Università Statale di Milano – da ex militante del movimento LGBTQ+ e convinta sostenitrice dei diritti “arcobaleno”.



«I minori trans “cosa sono”?», si chiede provocatoriamente la sociologa, sottolineando come «Chi difende l’esistenza di questa categoria si appella innanzitutto all’autodeterminazione del minore stesso, al suo diritto a venire riconosciuto o riconosciuta “per quello che è”. Cioè per quello che non è: sono un maschio ma mi sento una ragazza, sono femmina ma mi sento un ragazzo. Secondo l’ortodossia di quello che chiamo il “pacchetto gender” e secondo i suoi difensori LGBTQIAQetc l’autorità suprema nel definire il bisogno, la necessità di una transizione quanto più precoce è il minore stesso». La società è oggi disponibile a proporre un cambiamento di sesso ai ragazzi e addirittura bambini che non si sentano a loro agio con gli stereotipi di genere: come rileva l’esperta, in Italia si comincia a bloccargli la pubertà «a 16 anni con la triptorelina (un farmaco antitumore alla prostata usato off label), in Olanda (dove alcuni specialisti hanno manifestato dei ripensamenti) bloccandola a 12, dando gli ormoni del sesso opposto a 16, procedendo con la chirurgia a 18». Secondo Daniela Danna con i minori trans si è ormai superato un limite imposto dalla realtà: «siamo alla medicalizzazione del disagio, consentiamo di assumere farmaci potenti di cui non sappiamo gli effetti a lungo termine ma spacciati per “perfettamente reversibili”».



DANIELA DANNA: “RISCHIO DIPENDENZA ORMONI A VITA CON MINORI TRANS”

Secondo l’approfondita analisi della sociologa e docente che da anni studia il mondo legato al “genere”, la transizione viene spesso vista dai minori – come riportano ad esempio gli studi di Li, Kung e Hines pubblicato su Developmental Psychology nel 2017 – come una sorta di “panacea” rispetto ad altri problemi come il non essere a proprio agio con il genere, con il proprio corpo, con l’ambiente sociale circostante. E qui l’affondo di Danna che si “permette” di dire qualcosa oggi visto probabilmente come “taboo” dal perbenismo politicamente corretto della filosofia “se lo desideri, è possibile”: «ai minori aspiranti trans la prima cosa da dire è che non è davvero possibile cambiare sesso. Si tratta di una convenzione sociale, si tratta della possibilità offerta da farmacologia e chirurgia di assomigliare all’altro sesso, ma nascendo o maschi o femmine, la cosa non è davvero suscettibile di cambiamento».



La docente si è chiesta poi se un mezzo secolo fa, quando era una bambina maschiaccio, la società – cioè gli adulti – «mi avesse proposto di cambiare sesso “sul serio”, cosa avrei risposto? Non lo so con certezza, ma avrei potuto rischiare di intraprendere una strada di interventi medici pericolosi sul mio corpo, che mi avrebbero resa dipendente dagli ormoni artificiali da assumere a vita». Il problema è che la società di oggi, permeata e “inchinata” all’inclusività e il rispetto (sacrosanto per qualunque essere umano e non solo per “le categorie”, ndr) delle persone LGBTQ+, è arrivata ad accettare i minori trans: «a sua medicalizzazione, consentendogli di assumere farmaci potenti di cui non sappiamo gli effetti a lungo termine ma spacciati per “perfettamente reversibili”». La prof. Danna chiosa poi sottolineando di essere stata in passato parte infrante del movimento gay e lesbico, prima che diventasse LGBTQ+: ebbene, «negli anni Novanta siamo scesi in piazza a decine di migliaia per rendere visibile la nostra presenza nella società e raggiungere i cosiddetti “diritti civili”, cioè il riconoscimento delle nostre unioni, per le quali volevamo pari dignità sociale con le unioni eterosessuali. Ma ciò non implicava nessuno dei punti del “pacchetto gender”: transizione dei minori, maternità surrogata, abolizione del sesso biologico, legalizzazione degli abusi sessuali a pagamento sotto l’etichetta di “sex work”».