Solamente un paio di giorni fa – racconta il quotidiano La Stampa – nel torinese si è tenuta la prima udienza nei confronti di un ragazzino 16enne accusato di aver rapinato assieme ad una piccola baby gang un ragazzo 13enne disabile: un vero e proprio branco che oltre alle intimidazioni avrebbe brandito anche uno spray al peperoncino considerato (a tutti gli effetti) una vera e propria arma. Poco distanti da lui, dietro ai cordoni degli spettatori, siedono suo padre e sua madre, in lacrime e disperati, soprattutto perché solo poche settimane prima dell’aggressione avevano provato ad avvisare il 112 della brutta strada che stava percorrendo il 16enne.
“Venite per favore – aveva spiegato il padre in quella breve telefonata con il 112, ‘denunciando’ il figlio e la baby gang -, non riesco a tenerlo in casa. Lui vuole uscire a tutti i costi e io se che se esce, va con delle brutte compagnie. Non riesco a fermarlo, aiutatemi”; ma – forse ovviamente – non c’era stato alcun pretesto concreto per bloccare il 16enne, (quasi) incensurato e in quel momento non in flagranza di reato. Partì solo una segnalazione, rimasta inascoltata fino allo scorso 6 luglio, quando il figlio e la baby gang – composta da ragazzi ventenni – hanno assaltato un gruppetto di studenti, accanendosi contro il 13enne disabile.
Il racconto del padre: “Mio figlio è in una baby gang, non so cosa fare”
Interessante – più che il processo in sé, che è ancora in corso e non sappiamo come potrebbe andare a finire – recuperare il brevissimo racconto reso dal padre sul figlio e sulla sua baby gang durante l’udienza, partito dal sottolineare che “non so più come fare [con lui]. Si sveglia alle undici dopo aver passato tutta la notte al cellulare, non fa niente durante il giorno” se non giocare “ai videogiochi” e “uscire la sera con gli amici. Nella sua stanza non può entrare nessuno [e] non riusciamo a fare nulla per evitare che esca con brutte compagnie“.
A poco sarebbe servita la scuola – “l’ho inscritto ad una privata perché il mio unico desiderio è che studi”, ma il 16enne si è fatto cacciare dopo aver aggredito un compagno -, così come non è servito neppure soddisfare tutti i suoi desideri; mentre ripercorrendo il passato il padre ipotizza che l’approccio con le baby gang sia legato al loro trasferimento in una casa popolare alle Vallette: “Da quel giorno – spiega in udienza – tutto è peggiorato. Prima vivevamo in centro e andava meglio, ma [qui] ha conosciuto dei ragazzi che lo trascinano a fare cose brutte“.