Un gruppo Whatsapp degli orrori, tra materiale pedopornografico e simbologie naziste: è questo l’incubo vissuto dai genitori dei ragazzini coinvolti nell’inchiesta su “The Shoah Party” che ha portato lo scorso autunno alla scoperta di una chat frequentata da una ventina di ragazzi (la maggior parte minorenni e compresi tra i 13 e i 17 anni, più nove maggiorenni) in cui i partecipanti si scambiavano non solo video a luci rosse, ma inneggiavano a Benito Mussolini, Adolf Hitler e scrivevano frasi irripetibili a proposito della Shoah e contro ebrei e migranti. E di recente a raccontare questa esperienza è stato il padre di un teenager torinese coinvolto che, come accade spesso in questi casi, si è rammaricato per non essersi accorto di nulla: “Lui è ancora un bambino, ha capito di avere sbagliato e piange” ha spiegato in una intervista a La Repubblica, ammettendo di essere l’intestatario del telefono che aveva dato al figlio. Anzi, la sorpresa è stata ancora più grande quando i Carabinieri si sono presentati a casa sua alle 5 del mattino con un decreto di perquisizione e poi l’amara scoperta che il quattordicenne era proprio uno degli amministratori della chat “The Shoah Party”.



CHAT DEGLI ORRORI, PARLA IL PADRE DI UNO DEI RAGAZZINI COINVOLTI

Pur difendendo il ragazzino, il papà ha raccontato a La Repubblica che, una volta venuto a sapere del gruppo, ha avuto come primo istinto quello di “staccare la testa al figlio, gli ho chiesto come mai non ci avesse detto nulla”. Da quello che si apprende il figlio era su quella chat da quasi cinque mesi anche se il diretto interessato ha negato di esserne uno degli amministratori e ha pure aggiunto di non conoscere gli altri partecipanti a quella chat. “I miei figli non dicono parolacce o bestemmie: è un bambino non è un razzista, non deride i disabili” ha provato a giustificare il figlio, che poi spiega come secondo lui il 14enne abbia vissuto tutto alla stregua di un gioco. “L’aveva presa con estrema leggerezza, erano prese in giro su mondi anche opposti” ha continuato il genitore che, a quanto racconta, dopo una prima reazione irata ha scelto di non mostrarsi arrabbiato per far capire al figlio che aveva ancora la sua fiducia. E conclude: “Ora piange: ma non si è spaventato per i Carabinieri, quanto per aver deluso mamma e papà: ora il telefono sparirà e cercherò una psicologa, ne parleremo ancora ma una cosa del genere non l’avrei mai immaginata…”.

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