La vicenda di Mirco Franzoni finisce sotto la lente di Un giorno in pretura, il programma di Roberta Petrelluzzi in onda domenica 1 dicembre su Rai 3 a partire dalle 20:30. Le telecamere si spostano all’interno della Corte d’Assise di Brescia: il 14 dicembre del 2013, a Serle, in provincia di Brescia, Mirco Franzoni con il suo fucile da caccia ha sparato e ucciso un ragazzo albanese, Eduard Ndoji, che stava dandosi alla fuga dopo un furto nell’appartamento del fratello. Ed è proprio questo lo snodo cruciale della vicenda: si è trattato di un caso di legittima difesa? Mirco Franzoni ha ucciso il ladro albanese, come dice, perché un colpo di fucile gli è partito per sbaglio nel corso di una colluttazione o, come sostiene il Pubblico Ministero, a Serle ha avuto luogo una caccia all’uomo culminata nell’uccisione di Eduard Ndoji?
MIRCO FRANZONI: LA CONDANNA
La verità processuale è chiara: Mirco Franzoni ha ucciso volontariamente il 26enne Eduard Ndoji e per questo è stato condannato a 9 anni e 4 mesi. Secondo la Corte d’assise d’appello, che ricalcò il verdetto del primo grado e che non venne smentita neanche dalla Cassazione, sancì che Franzoni “ha ritenuto che l’evento mortale fosse il prezzo eventuale da pagare per il raggiungimento del proprio scopo: evitare la sua fuga”. Fu una vera e propria caccia all’uomo quella organizzata la notte del 14 dicembre nel paesino di montagna. Lo dimostra il fatto che Franzoni si mise alla ricerca dei malviventi un’ora dopo il furto a casa del fratello, armato di fucile “pronto a sparare” con tanto di sicura disinserita, cartuccia in canna e altre due nel serbatoio, come riporta Il Corriere della Sera. Non si trattò, dunque, di un colpo accidentale come sostenuto da Franzoni, che invece mirò e impallinò il ladro albanese all’imbocco del vicolo che conduce al bosco, dove Ndoji stava inoltrandosi insieme al suo complice.
MIRCO FRANZONI: L’OMICIDIO A BRUCIAPELO
Secondo i giudici furono due i colpi esplosi da Mirco Franzoni: il primo in aria a scopo di intimidazione, il secondo mortale, eseguito a due metri di distanza dalla vittima nella “tipica posizione del calciatore”, stando agli esperti. Eppure ad aggravare l’accaduto vi fu il fatto che quella di Franzoni non solo non fu un’azione dettata dall’istinto o frutto del caso, bensì trovò anche la collaborazione di compaesani e familiari, compresi il padre e il fratello. Ne derivò una serie di tentativi di depistaggio che vennero a galla soltanto grazie all’accuratezza degli inquirenti, bravi a far emergere le tante, troppe, contraddizioni nel racconto di alcuni testimoni. Un esempio fu la telefonata del residente che alle 20.34, su indicazione di Mirco Franzoni, chiamò i carabinieri. Poco dopo, ricostruisce Il Corriere della Sera, si verificò il presunto “sparo” in diretta, ma l’omicidio era stato consumato in realtà almeno mezz’ora prima.