Una storia finita male. Che incrocia due storie giovani, con tutto il diritto di continuare bene: quella di Alessandro, 23 anni, e quella di Miriam, 22 anni.
Una notte, dopo una notte balorda – lui preda dell’alcol e degli stupefacenti, lei con il magone di chi se ne va dalla casa di un amore in malo modo -, ne incrocia i loro destini per sempre: la macchina di lui come ascia da guerra sul corpo di lei. Con mille aggravanti rimaste sul nero dell’asfalto, sul nero dell’inchiostro delle carte procedurali: l’alcol, gli stupefacenti, la velocità insensata da una parte. L’amore, con le sue mille sfaccettature e imperfezioni dall’altra.
Vivranno per sempre uniti questi due giovani che, forse, mai s’erano incontrati prima d’allora ma che, d’ora innanzi, la cronaca nera manterrà per sempre legati. Pur vivendo in spazi e in luoghi differenti: nel freddo arido di una cella di galera, nel silenzio claustrale di un cimitero. Entrambi prigionieri di un tempo che non è più lo stesso tempo di ieri. Fine corsa. O, tutt’al più, inizio di un lunghissimo tempo d’attesa. Di lutto.
A colpire, però, è il “dietro le quinte” di queste due storie. La storia dei loro due padri: quello dell’investitore e quello dell’investita. Capita d’apprendere una di quelle sfumature che, come se non bastasse la complicazione del dramma, si divertono a sfidare la roulette della vita: questi due padri si conoscono, capita di scoprire che lavorano assieme, d’immaginare una qualche forma di conoscenza tra loro. “Adesso non immagino cosa potrò dirgli quando lo incrocerò di nuovo”, si lascia sfuggire il padre di Alessandro ai microfoni della tv. S’azzufferanno, si eviteranno, separeranno per sempre le loro traiettorie varcando la soglia della stessa azienda, mangiando alla stessa mensa, condividendo lo stesso turno? O, invece, saranno loro a riprendere in mano una storia che ciascuno di loro ha contribuito a far nascere, crescere, farsi maggiorenne?
Dalle loro parti – sono anche le mie – c’è un proverbio che la generazione dei nonni ha tramandato a noialtri nipoti: «Un dolore condiviso è un dolore dimezzato (Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata)». Il giorno dopo che i loro figli sono diventati maggiorenni, per un destino che tocca in sorte ai genitori, hanno dovuto fare come l’allenatore il giorno di una grande sfida: han dovuto mettersi da parte e accettare che il loro destino dipendesse dalle scelte dei loro figli. Rare volte, per ricevere l’oro, sale anche l’allenatore. Il più delle volte manco si conosce il suo nome: se ne sta in disparte, a fare il tifo come il più anonimo tifoso. Intervenendo con gesti mimati, parole in codice, impercettibili movimenti. Scompaiono. Per ricomparire solo in caso di tracollo: per consolare, difendere, metterci la faccia assieme ai loro pupilli. Ogni padre è l’allenatore di suo figlio: ad un certo punto si sposta. Ad un certo punto, se occorrerà, rientrerà: per ricomporre. È la vita.
Oggi sono il padre e la madre i veri avventurieri della storia: costretti, quasi sempre d’improvviso, a (ri)entrare nelle vite dei loro figli per decifrarle, cercare di comprenderle, carezzarne le cicatrici. Se sono morti, per mantenere accesa la memoria e la gioventù.
Saranno i loro padri, assieme alle loro donne, a trovare la forza per spingere quelle grate per andarci a parlare: le grate di una prigione, le grate di un cimitero. Mentre il mondo disquisisce sui massimi sistemi, ci sono due padri che, straziati, pagherebbero chissà cosa per non essersi mai incrociati prima. Perchè conoscersi – prima di condividere una catastrofe – è sentirsi addosso un qualcosa che t’imbarazza e ti sprona allo stesso tempo. Che ti costringe, in qualche modo, a condividere e non deridere; a parlare e non sparlare: a volte basta una sillaba per fare la differenza tra eleganza e volgarità.
Al mondo sono rimasti loro due, questa loro conoscenza che stuzzica. Che potrà fare la grande differenza tra la vita e la morte. Qualunque cosa faranno, qualunque cosa si diranno, si porterà cucito addosso il peso e la grazia d’essersi già incrociati prima d’allora. Al tempo in cui si sudava per dare un futuro ai loro figli. Gli stessi per i quali oggi sono tornati a rigiocarsi la loro faccia.
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