I ritardi nel linguaggio dei bambini potrebbero dipendere, in taluni casi, anche da determinate miscele di sostanze chimiche alle quali mamma e feto sono stati continuamente sottoposti nel periodo di gravidanza. La scoperta è giunta al termine di un approfondito studio europeo appena pubblicato sulla rivista Science, denominato “EDC-MixRisk” e incentrato sul rischio di deficit neurologico nei nascituri. A condurlo sono stati Università e centri di ricerca svedesi, italiani, francesi, finlandesi, tedeschi, greci, inglesi e statunitensi.
Come riporta il “Corriere della Sera”, nella prima fase di lavoro “sono state misurate le concentrazioni di bisfenoli, ftalati e PFAS presenti nel sangue e nelle urine delle donne monitorate alla decima settimana di gravidanza. Queste sostanze fanno parte dei cosiddetti interferenti endocrini, composti chimici che è già stato dimostrato essere in grado di alterare funzioni ormonali, con ricadute sulla salute”. Il secondo passaggio ha avuto invece luogo in laboratorio, con la sintesi chimica delle stesse combinazioni: “Abbiamo messo queste miscele a contatto con organoidi cerebrali – ha dichiarato Giuseppe Testa, Principal Investigator di EDC-MixRisk della modellistica sperimentale umana –: sono modelli cellulari in vitro molto sofisticati che riproducono aspetti fondamentali dello sviluppo del cervello umano. Quando i neuroni venivano a contatto con queste sostanze, si producevano alterazioni in tutta una serie di regolazioni ormonali che vanno a incidere sui geni responsabili di disabilità intellettiva e autismo”.
RITARDI NEL LINGUAGGIO DEI BAMBINI: “SERVONO REGOLAMENTAZIONI NELLE MISCELE CHIMICHE”
Ancora ai microfoni del “Corriere della Sera”, il professor Testa ha chiarito che l’esposizione al mix di sostanze è una concausa dei ritardi nel linguaggio dei bambini, “poi entra in gioco una predisposizione genetica di resistenza o di vulnerabilità al danno indotto da esse”. L’appello alle autorità che le regolamentano è dunque quello di rivedere i limiti soglia imposti per queste sostanze in termini di miscela e non soltanto singolarmente.
Trattasi di sostanze davvero comuni, reperibili nei derivati della plastica, nei contenitori di bevande, nei materiali di copertura di edifici, nelle vernici edilizie: “Sicuramente un tipo di esposizione così pervasiva e continua nel tempo è tale da rendere impossibile alle singole persone di scegliere di non esporsi – ha concluso Testa –. Proprio per questo la gestione della regolamentazione non può ricadere sulle spalle dei consumatori (che pure possono far sentire la loro voce), ma deve essere valutata nell’ambito dei processi di autorizzazione alla produzione e commercializzazione di una vasta gamma di prodotti, a cominciare dai derivati plastici, fino ai cosmetici e ai pesticidi”.