I cosiddetti “corridoi umanitari” rappresentano uno specifico programma di trasferimento e integrazione in Italia rivolto a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie. A partire dal febbraio 2015 questi programmi hanno consentito l’ingresso di circa 4.000 persone provenienti dal Libano (prevalentemente rifugiati siriani) e dall’Etiopia (rifugiati provenienti da Eritrea, Somalia e Sudan), nonché da Niger, Giordania, Libia e Pakistan e Iran (da questi ultimi due, esclusivamente rifugiati afghani).
Nei giorni scorsi, partendo da questa esperienza, è stato firmato, al Viminale, un nuovo protocollo di intesa, tra i ministeri dell’Interno, degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, del Lavoro e delle Politiche sociali e la Comunità di Sant’Egidio, per la realizzazione di un progetto, almeno per ora, “sperimentale” per l’apertura di “corridoi lavorativi”.
L’accordo si innesta, secondo i dirigenti ministeriali, nel quadro complessivo delle iniziative nazionali volte a garantire una migliore governance del fenomeno migratorio attraverso una maggiore valorizzazione di ingressi legali realizzati nell’ambito di un sistema organizzato, che dovrebbe consentire, e per certi aspetti garantire, un migliore inserimento nel tessuto produttivo di figure professionali specifiche attraverso cui colmare carenze di risorse umane in determinati settori.
Finalità dichiarata dell’intesa è, infatti, quella di predisporre e favorire l’incontro dell’offerta di lavoro, espressa dalle imprese sul territorio nazionale, con le competenze lavorative e la disponibilità a trasferirsi in Italia da parte di stranieri che si trovano all’estero, con particolare riferimento a quelle professioni di cui risulta accertata la perdurante carenza sul mercato del lavoro nazionale.
L’iniziativa interesserà, quindi, complessivamente, almeno in questa prima fase “sperimentale”, trecento stranieri nel biennio.
In questo quadro l’elaborazione dei progetti di formazione pre-partenza, e di inserimento lavorativo, e l’individuazione dei relativi partecipanti, verrà effettuata dalla Comunità di Sant’Egidio sulla base della rete di rapporti e di collaborazioni instaurate negli anni e con proprie risorse professionali ed economiche.
Le attività da svolgere prima della partenza interesseranno, quindi, il Libano, l’Etiopia e la Costa d’Avorio, e saranno indirizzate, in via preferenziale, a cittadini di questi Paesi.
Per le attività da svolgere successivamente all’arrivo, verranno promossi dei progetti pilota nelle regioni Calabria, Lazio e Veneto, ferma restando, ovviamente e auspicabilmente, la facoltà di estendere l’iniziativa in altri territori del nostro Paese in ragione della individuazione di nuovi luoghi di inserimento lavorativo.
La speranza è che queste sperimentazioni “sul campo” possano, nel tempo, diventare maggiormente sistemiche e interessare sempre più persone. La buona integrazione si fa, infatti, anche “copiando”, e adattando, “buone pratiche” già realizzate in percorsi progettuali simili come in questo caso e attraverso una proficua, e virtuosa, collaborazione tra istituzioni e Terzo settore.
Un lavoro nel nostro Paese rappresenta, spesso, poi per molte persone in questi progetti una via di fuga da fame, povertà e guerra e, si auspica, una speranza per costruire un futuro migliore per se stessi e per le proprie famiglie. Potremmo dire che, nel loro piccolo, e visti i tempi particolarmente difficili che stiamo vivendo, con questi progetti si prova a “lavorare” per la pace.
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