Due missili sono caduti ieri sera, poco dopo le 19, in territorio polacco causando la morte di due persone. Ad essere stato colpito è il paese di Przewodow, a 7,5 chilometri dalla frontiera ucraina. Subito c’è stata grande apprensione per un episodio ancora da chiarire nella sua dinamica. Alle 21 si è riunito il Consiglio di sicurezza a Varsavia, mentre per oggi è convocata la riunione degli ambasciatori Nato e in quella sede la Polonia mostrerà le sue prime conclusioni sull’accaduto. Intanto, poco prima delle 21, Mosca ha smentito che si sia trattato di missili russi. Con il passare delle ore aumenta di spessore l’ipotesi che si tratti di missili russi caduti in Polonia perché intercettati dalla contraerea ucraina.
“Quanto accaduto non mi sorprende” osserva parlando con il Sussidiario il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan.
Qual è la sua spiegazione?
Oggi la Russia ha sferrato un attacco sistematico, massiccio, sull’Ucraina, principalmente contro le infrastrutture energetiche ucraine, centrali elettriche, ponti, ferrovie, lanciando più di cento missili.
Da più parti si è sottolineato che sia una prova del fatto che la Russia vuole continuare la guerra.
Non sono di questo avviso. L’attacco, e al suo interno l’episodio dei missili caduti in Polonia, ammesso che si tratti di armi russe, non sono una smentita delle aperture che si sono registrate di recente. Anzi.
Si spieghi, generale.
L’attacco potrebbe significare una conferma della disponibilità della Russia, dopo il ritiro da Kherson, a sedersi intorno a un tavolo, senza dimostrare di essere indotta a farlo da perdente o da una posizione di inferiorità.
Dunque l’attacco missilistico sarebbe una attestazione di forza ma nel contesto di una disponibilità a trattare?
È una mia valutazione, naturalmente potrei sbagliarmi. Zelensky ha ribadito che non ci sarà dialogo, ma è il presidente della nazione aggredita. Da fonti informali statunitensi sembrerebbe che siano in atto pressioni perché accetti questa possibilità. Lo ha detto questa mattina (ieri, ndr) anche il capo di stato maggiore della Difesa Usa.
Quindi?
In ogni guerra le parti cercano di presentarsi al tavolo delle trattative in condizioni di vantaggio, per strappare più concessioni possibili. L’Ucraina ha ripreso Kherson e la sponda destra del Dnipro, e sembra che le forze di Kiev siano riuscite a passare dall’altra parte per cercare di stabilire una testa di ponte. Al netto dei risultati, vuol dire che l’Ucraina sta cercando di avanzare per sfruttare la difficoltà russa. I russi dal canto loro fanno lo stesso, intensificando il lancio di missili.
In questo quadro, siamo sicuri che l’Alleanza atlantica interpreti nel modo giusto il fatto che due missili siano caduti nel posto sbagliato?
Quando si fa un’operazione così massiccia come quella russa ci possono essere errori dovuti alle condizioni meteo anche se i missili sono guidati, o ad un’impostazione errata delle coordinate. O ancora, se un missile viene colpito dalla contraerea, la sua traiettoria cambia. Al momento non disponiamo delle informazioni necessarie per dire di più.
Potrebbe trattarsi di una provocazione da parte di Mosca, un avvertimento alla Polonia, uno dei Paesi più schierati contro la Russia?
C’è un ragionamento che va contro quest’ipotesi. Il Cremlino dice da tempo che la consegna di armi sempre più sofisticate all’Ucraina avrebbe provocato una forte reazione russa. Se la Russia avesse voluto dare seguito a queste minacce, avrebbe colpito qualche installazione militare significativa, o qualche struttura importante, come ponti, centrali, caserme, basi, snodi ferroviari.
La interrompo per dirle che proprio in questo momento è arrivata la notizia della smentita di Mosca: non si tratta di missili russi, fa sapere il ministero della Difesa russo.
Serve un’indagine sui resti dei missili. Le ipotesi sono tre: o si tratta di missili russi, o di missili russi abbattuti, oppure di missili della difesa aerea ucraina.
Molti media stanno evocando l’articolo 5 del Trattato, quello che impegna la Nato alla difesa nel caso in cui in membro dell’Alleanza venga attaccato.
Va detto che la Nato dovrebbe essere preparata ad eventualità come queste, in cui il territorio Nato viene interessato in prossimità del confine. Durante la Guerra fredda ci sono stati diversi incidenti del genere: aerei abbattuti, collisioni di navi, spari al confine. Si va dallo sconfinamento dei soldati sovietici al confine norvegese nel 1990, all’abbattimento di un bombardiere americano sopra Berlino nel 1953. In mezzo c’è stata una decina di casi simili.
Ancora prima dei missili caduti in Polonia, di fronte all’attacco missilistico russo, Washington aveva detto ieri sera che Putin vuole la guerra. Però ad Ankara l’altro ieri il capo della Cia William Burns e quello dell’intelligence estera russa Sergei Naryshkin si siano incontrati, pubblicizzando con enfasi l’evento. Perché?
Per dare un messaggio interno ai propri Paesi e due esterni: uno ai rispettivi contendenti e uno alla comunità internazionale. Da quello che è trapelato, l’incontro è servito a chiarire la situazione e soprattutto a discutere sull’utilizzo dell’arma nucleare.
Sembra che l’incontro sia stato fortemente voluto dagli americani, molto preoccupati di un possibile ricorso al nucleare da parte russa. È così?
Sicuramente. Anche se gli Usa hanno detto di non avere evidenze sul fatto che la Russia si prepari a usare l’arma nucleare, hanno evidentemente anche dei segnali che mostrano come questa possibilità esista tuttora.
Quanto possiamo essere sicuri, al di là delle dichiarazioni, che i militari russi non riescano a bypassare Putin? La stessa cosa vale naturalmente anche per gli Usa: basti pensare alla crisi di Cuba, quando era lo Stato maggiore americano a chiedere l’uso dell’arma nucleare.
In Russia c’è una corrente estremista che accusa Putin di non aver utilizzato tutti i mezzi a disposizione e spinge per l’uso di un’arma nucleare tattica per ribaltare le sorti della guerra. Personalmente, ritengo che Putin abbia ancora la situazione sotto controllo. In più tre pareri sono vincolanti per decidere l’utilizzo di una bomba nucleare: quello del presidente, quello del ministro della Difesa e quello del capo di stato maggiore. Quanto all’America, la decisione è solo apparentemente delegata al presidente.
In che senso?
Il presidente degli Stati Uniti è l’unico che ha accesso alla valigetta con cui si lanciano le bombe nucleari, ma non può lanciare autonomamente un attacco nucleare. Deve sempre coordinarsi con il ministro della Difesa e con il generale Interforze, i quali devono inserire anche i loro codici per far partire l’attacco. Tutti gli apparati dello Stato – Cia, National Security Agency, Fbi, Esercito – concorrono alla decisione presidenziale. Il presidente decide semplicemente quale opzione assecondare.
Come si spiega questa precauzione?
Perché conosciamo le conseguenze. Ci sono studi americani che dicono che nel caso di un uso di armi nucleari nel giro di poche ore si conterebbero più di 80 milioni di morti.
E per quanto riguarda la Nato?
Premesso che non esistono bombe nucleari Nato, perché le bombe nucleari sono di proprietà dei singoli Paesi come Francia, Regno Unito o Stati Uniti, possono essere usate dall’Alleanza atlantica in maniera congiunta qualora gli Stati, dopo aver riconosciuto una minaccia comune, decidano di reagire unitariamente. Ma la Nato di per sé e gli Usa non hanno alcuna legittimità nel richiedere l’uso di armi nucleari, ad esempio alla Francia.
Torniamo ad Ankara.
L’incontro di Ankara è servito a stigmatizzare la situazione. Non sappiamo di quali altri argomenti abbiano parlato o se sia prevalsa o meno la posizione di chi vuole spingere al dialogo con Mosca. È però un segnale positivo che le due super potenze si parlino.
No è certamente casuale che i capi dei servizi si siano visti in Turchia. Perché secondo lei?
Erdogan con la sua spregiudicatezza nel giocare su più tavoli svolge un ruolo che nessuno oggi ricopre. È amico dei russi, anche se vende le armi all’Ucraina; è membro Nato, ma ha acquistato sistemi missilistici dalla Russia. In questo vuoto della diplomazia, dove manca l’Onu e dove la Ue strombazza dichiarazioni prive di contenuto, è l’unico che riesce a parlare con tutti. È anche l’unico che ha ottenuto finora un risultato concreto: far riaprire le vie del commercio dei cereali.
Qual è l’obiettivo di Erdogan?
Aumentare il proprio peso internazionale. Quello in cui Macron ha fallito, nonostante sia andato di persona da Putin e gli abbia telefonato in continuazione.
(Paolo Vites)
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