June è una vivace ragazza di diciott’anni. Vive a Los Angeles con sua madre Grace e insieme stanno cercando di riprendersi dalla scomparsa del padre, morto qualche anno prima. Rimangono solo i ricordi, i video, le fotografie di un periodo sereno della loro vita e un po’ di ansia che è difficile sopire. Negli ultimi tempi è entrato nella loro vita Kevin, il nuovo fidanzato di Grace, che ha cercato di inserirsi con delicatezza nella loro famiglia. Per la prima volta, la coppia ha deciso di organizzare una settimana di vacanza in Colombia, da soli, lasciando June, che non sembra per nulla preoccupata, a casa. La vacanza però, purtroppo, non andrà come previsto.
Si chiamano “screenlife movies” e sono quei film che si mostrano allo spettatore solamente tramite gli schermi digitali. Un virtuosismo tecnico, quello dei due registi (Nicholas Johnson e Will Merrick, alla loro opera prima), che ci fa passare da un luogo all’altro con un semplice click, passando dal cellulare al computer, dalla finestra di google alle app di comunicazione. A guidare il viaggio disperato alla ricerca della madre vi è June, generazione Z, abilissima utente digitale, capace di seguire le tracce e gli indizi che ognuno di noi sparge per il web semplicemente vivendo. Con l’abilità di una professionista del crimine, risale alle password del nuovo compagno della madre per cercare di scoprire i movimenti della coppia, scomparsa nel nulla.
In Missing și apprezza l’affresco genuino del rapporto madre e figlia, reso difficile dalla morte del padre e dall’adolescenza che morde, si apprezza il dolore e la nostalgia del racconto dei tempi felici, o ancora si apprezzano i molti inevitabili cambi di prospettiva che portano lo spettatore a rivedere ogni volta la verità dei personaggi, in cerca di un perché che dia un senso alla sparizione.
Puntuale e partecipe la descrizione dei personaggi. Grace, madre affettuosa e attenta con la figlia, decisa e coraggiosa con la vita. June, instabile e ribelle, come qualunque ragazza di quell’età. Un’adolescente sveglia, che smanetta che è un piacere, fluttuando tra finestre che si aprono e si chiudono, conversazioni multiple, competenze multitasking.
È una giovane “guerriera” della rete, che non demorde mai, impegnata a mille per ritrovare l’amore della madre, di cui si accorge di aver bisogno solo quando le manca.
Nelle due ore di film, tra un cookie e l’altro, un video e una chat, tra una telecamera di sorveglianza e una transazione bancaria, il film ci ricorda, anche senza volerlo, quanto siamo disarmati e indifesi di fronte alla rete e alle sue logiche.
Un film intenso nel ritmo, ricco di colpi di scena che annacqua però le emozioni, filtrate dallo schermo che inevitabilmente attenua l’empatia per la protagonista, sperduta nell’incubo dell’abbandono e della solitudine. Eppure i motivi per soffrire con lei non mancano.
L’intreccio, tra Los Angeles e Cartagena, in Colombia, si rivela con abilità ma l’appeal estetico, con le sua manipolazioni tecnologiche, finisce per sopravanzare la trama e i suoi misteri.
Un film tutto sommato ben fatto, sorprendente nella messa in scena, coerente nell’intreccio, sufficientemente attento alle sfumature dei personaggi e delle lori vite da ricostruire, promosso per il divano. Ma nulla di più.
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