Torna ad affacciarsi sul mondo la minaccia nucleare nordcoreana. A rivelarlo è l’ultimo rapporto annuale dell’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu, che ha infatti evidenziato una ripresa delle operazioni, dopo quasi tre anni di inattività, del principale reattore nucleare della Nord Corea, 5 megawatt di potenza, nel complesso di Yongbyon, a nord della capitale Pyongyang. Il reattore produce plutonio, che è uno dei due “ingredienti” chiave insieme all’uranio arricchito, anch’esso prodotto a Yongbyon) per costruire la bomba atomica. Quanto deve preoccupare questa nuova minaccia internazionale? Per capirlo abbiamo rivolto alcune domande a Francesco Sisci, sinologo ed ex corrispondente de La Stampa dalla Cina.



Come va interpretata la riaccensione dell’impianto nucleare di Yongbyon?

Ci sono due fenomeni diversi, separati ma quasi contemporanei, e con un impatto potenzialmente molto importante.

Cominciamo allora dal primo.

È proprio quello denunciato dall’Aiea il 29 agosto, cioè la riaccensione del reattore nordcoreano di Yongbyon, spento nel 2018. Si tratta di un impianto per l’arricchimento del plutonio per gli ordigni atomici. Questo fatto riaccende tutti i fari sulla Nord Corea, dopo la ventata di ottimismo di due-tre anni fa. Pyongyang ha infatti già un arsenale atomico, ha missili in grado di colpire il Giappone e di arrivare agli Stati Uniti e in passato ha dimostrato di possedere anche la determinazione politica di condurre attacchi senza scrupoli.



La Corea del Nord resta quindi una mina vagante nella regione del Sud-Est asiatico?

La Corea del Nord ha un solo amico-alleato, per quanto parziale, la Cina. Se cominciasse ad agitarsi davvero, dopo avere riaperto Yongbyon, questo potrebbe spingere al ribasso le Borse di Seul e Tokyo e scatenare una crisi finanziaria globale.

Perché?

Il momento è molto delicato, non siamo ancora usciti dalla crisi del Covid e, mentre la disordinata uscita da Kabul non ha scosso Wall Street, movimenti ostili a Pyongyang potrebbero essere destabilizzanti.

E il secondo fenomeno a cui faceva riferimento?

Quasi contemporaneamente il Quotidiano del popolo il 31 agosto ha annunciato l’inizio di una “profonda rivoluzione” in Cina. Alcuni aspetti sono ragionevoli e condivisibili. L’editoriale infatti invita a spostare il centro dell’attenzione dal capitale all’uomo.



Immagino però che l’editoriale non si fermi qui, giusto?

Infatti. A un certo punto afferma: “La Cina si trova attualmente in un ambiente internazionale sempre più critico e complesso. Gli Stati Uniti stanno attuando minacce militari sempre più severe, blocchi economici e tecnologici, attacchi finanziari, hanno in corso un assedio politico e diplomatico contro la Cina, stanno conducendo una guerra biologica, una guerra cibernetica, una guerra di opinione pubblica e una guerra spaziale contro la Cina, e stanno pilotando una rivoluzione colorata contro la Cina con intensità crescente attraverso una quinta colonna all’interno della Cina. Se in questo momento ci affidiamo ancora ai grandi capitalisti come forza principale nella lotta contro l’imperialismo e l’egemonia, e se ci accontentiamo ancora della strategia statunitense del ‘pan per focaccia’, e lasciamo che la nostra giovane generazione perda la sua forza e virilità, allora cadremo senza che intervengano i nostri nemici, proprio come accadde all’Unione Sovietica al tempo. Si permetterebbe al paese di crollare, il saccheggio della sua ricchezza, e si farebbe cadere il popolo in un profondo disastro. Quindi i profondi cambiamenti che stanno avvenendo attualmente nel nostro paese sono proprio in risposta all’attuale grave e complessa situazione internazionale, e proprio in risposta ai selvaggi e feroci attacchi che gli Stati Uniti hanno già iniziato a lanciare contro la Cina”. Questo è un documento ufficiale, il Quotidiano del popolo è la voce della massima leadership cinese. Non è il Global Times che spesso pubblica articoli provocatori anche per vedere “l’effetto che fa”.

Tutto questo cosa significa?

Che la Cina riconosce la difficoltà del momento, la preoccupazione e la tensione americana e ritiene di avere il suo tallone di Achille in una società civile troppo “americanizzata” e simpatizzante con quello che è riconosciuto come nemico. La Cina quindi annuncia di prepararsi così a un confronto aspro e prolungato nel tempo con gli Stati Uniti, cosa che a sua volta è destinato a inasprire i toni del confronto a Washington.

Allora la riaccensione di Yongbyon e l’editoriale cinese sono collegati? Fanno parte di una stessa strategia volta a contrastare la nuova attenzione che Washington dedica all’Asia dopo l’uscita dall’Afghanistan?

Di certo si vede che l’Afghanistan è una questione gravissima, delicata, ma sostanzialmente si tratta di una crisi umanitaria. Non c’è a Kabul una minaccia esistenziale alla finanza e alla politica dell’Occidente. Ben altri venti soffiano in Est Asia.

In che direzione stanno soffiando?

Bisogna concentrarsi qui, guardare con freddezza la realtà e sforzarsi in tutti i modi di evitare il peggio, cioè di cadere nell’abisso. Non sappiamo se siamo all’inizio di una guerra fredda, che congelerà i confini del mondo per decenni, oppure è l’inizio di una guerra anche calda. Le possibilità di una soluzione pacifica stanno rapidamente sfumando, anche se non tutto è perduto.

(Marco Tedesco) 

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