Il grande problema della “liquidità” è arrivato. Una parola che riecheggia, senza mezze misure in tutto il Paese, Il trend-topic di riferimento. Il coronavirus, il famoso cigno nero che dalla sera alla mattina ha determinato il blocco simultaneo della domanda e dell’offerta, porta con sé problemi che, prima che vengano riassorbiti dal sistema economico, ci vorrà un decennio se non di più. Bisognerebbe però capire cosa in questo momento sta succedendo affinché si riesca a comprendere fino in fondo le misure che il Governo italiano sta mettendo in atto per contrastare questa grave recessione.



Più del 90% del nostro sistema industriale è formato da aziende con un numero di dipendenti inferiori a 10 unità. Il fatturato, anche se esiguo, genera un alto valore aggiunto settoriale, che aggregato ci porta a essere, come Paese, la seconda manifattura europea. In questo senso quindi il problema della liquidità è di primaria importanza, soprattutto se si va a considerare che tali aziende hanno vissuto, in questo periodo di lockdown, in apnea.



Le misure messe in campo dal Governo, nel “decreto liquidità”, hanno dimostrato che le banche (giustamente) non sono lo Stato: seguono infatti logiche di profitto, hanno Ratio patrimoniali da rispettare e ciò rappresenta un collo di bottiglia se si vuole agire in maniera tempestiva inserendo liquidità nel sistema. È dovere quindi dello Stato intervenire per salvare il cosiddetto salvabile, e allo stesso tempo rilanciare ciò che va rilanciato.

Bisognerebbe fare una distinzione, in questo senso, sul ragionamento degli scenari e quindi sull’operatività dell’azione pubblica. Importante definire i vari settori produttivi, analizzare l’interconnessione che essi hanno all’interno del territorio di riferimento e distinguere soprattutto quella tipologia di settori e/o comparti che avevano fette di mercato, e quindi fatturato, da quelle invece che versavano già in una condizione di necessità pregressa.



Bisogna ricordare infatti che prima del Covid-19 stavamo recuperando la perdita causata dalla grande crisi finanziaria del 2008. Non tutto era rose e fiori, e condizioni di necessità, soprattutto su alcuni comparti industriali, erano all’ordine del giorno. In questo senso la strategia operativa dell’azione pubblica deve essere cinica ed estremamente operativa, in modo da intervenire nel capitale di rischio delle aziende e allo stesso tempo nel sistema creditizio. Bisogna definire anche i vari modelli e veicoli operativi per l’attuazione del piano. Soprattutto dal punto di vista della governance.

Per quanto riguarda il primo, dalle ultime indiscrezioni, sembrerebbe che nel prossimo decreto (il cosiddetto “decreto aprile”) si stiano definendo misure che vanno in questa direzione. Dalle dichiarazioni del viceministro allo Sviluppo economico Buffagni, sembra di capire che verrà inserito un intervento diretto dello Stato nel capitale di rischio delle imprese. Il cosiddetto CoronaEquity. Uno strumento che garantisce alle aziende fino a 250 addetti di poter avere un aumento di capitale speculare a quello fatto dall’impresa, da parte dello Stato.

In questo senso però vanno definiti bene i ruoli del pubblico all’interno dell’azienda, come ad esempio la strategia di investimento e le modalità di uscita. In merito non si sa molto.

Sulla governance, o meglio sul veicolo, sembrerebbe che un ruolo centrale potrebbe averlo Cdp, che tramite la costituzione di un fondo patrimonializzato dal Mef, e separato dalla liquidità ordinaria del risparmio postale, garantisca l’operatività dello strumento.

Qui potrebbe nascere un problema di competenza vera e propria della Cdp, che dovrebbe rimanere privata e non pubblica. Cdp, in questo momento, non rientra all’interno del perimetro pubblico. Ciò rischierebbe di essere una mossa azzardata, soprattutto se si considera che un domani Eurostat, come in passato, potrebbe cercare di far rientrare la Cassa all’interno del perimetro pubblico, quindi aumentando il debito. È importante capire in che modo e con quali strumenti il Governo intenda intervenire.

Una soluzione, oltre Cdp, potrebbe essere Invitalia, o meglio la Banca del Mezzogiorno Mediocredito Centrale. Certo molto più piccola, ma in questo caso destinata a crescere, risolvendo allo stesso tempo il problema legato al ruolo della Cassa depositi e prestiti.

Sul secondo punto invece, il supporto al credito, e quindi specularmente al debito delle aziende, è una cosa che, da quello che si intende dalle dichiarazioni del Governo, andrebbe meglio implementata. In questo senso sarebbe necessario a livello culturale spostare la concezione “banco-centrica” del sistema italiano verso una visione più di mercato.

Il mercato finanziario potrebbe rappresentare in questo momento la seconda ancora di salvezza. Sembrerebbe strano da leggere, ma non tutta la finanza viene per nuocere. Ciò sarebbe possibile solo ed esclusivamente grazie al risparmio privato degli italiani che, secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia, ammonta all’incirca a 1.400 miliardi di euro. Una cifra monstre parcheggiata all’interno dei conti correnti bancari, con tassi a zero se non negativi.

In questo senso una soluzione potrebbe essere trovata attraverso i titoli di debito corporate delle PMI italiane. I mini-bond potrebbero essere uno strumento ideale per le aziende. Con il coinvolgimento diretto del Fondo di Garanzia esteso al Fondo europeo per gli investimenti (Fei) e quindi alle Bei, garantendo l’operazione, verrebbe a materializzarsi per l’azienda uno scenario che automaticamente la proietterebbe ad avere un rating a tripla A, e perché no, a questo punto, la possibilità di far intervenire direttamente la Bce in qualità di anchor investor.

Ma come fare per far entrare nel perimetro di visuale della Bce anche le aziende di piccolissime dimensione che mai potrebbero vedere nell’Eurotower un potenziale investitore? In questo caso il problema si potrebbe risolvere creando una massa critica, cioè mettendo insieme tanti piccoli mattoncini (aziende) che formino nel complesso un edificio (il Basketbond).

Allo stesso tempo Bce e Cdp, in qualità di anchor investors, potrebbero portarsi dietro anche molti di quei risparmi in giacenza nei conti corrente. Il tasso di rendimento sarebbe più elevato di quello offerto dal deposito bancario e, attraverso la garanzia Fei e Fondo di Garanzia delle PMI, potrebbe rappresentare un ottimo investimento.

Certo è un’operazione non convenzionale per il sistema italiano, ma la normativa e i regolamenti Consob già prevedono tutto questo, nulla di nuovo. Una strategia che, se calata nel contesto manifatturiero e industriale di piccole dimensioni come il nostro, potrebbe essere però di vitale importanza.

La scadenza, anche in questo caso andrebbe immaginata con una strategia ben definita, probabilmente attraverso una singola operazione long-term. In questo caso l’azienda avrebbe tutto il tempo di riassorbire l’esposizione e nel frattempo tornare a fare utili.

Solo il peso specifico del Governo però potrebbe renderlo un fenomeno meno misterioso, come ad esempio viene a intendersi adesso. Dovrebbe farsi attore principale dell’operazione, insieme alle Regioni, e associazioni di categoria, in modo da organizzare i settori e i territori di riferimento.

In questo senso alcune realtà di categoria già si sono mosse, come ad esempio alcune regioni attraverso le finanziarie regionali: Campania, Puglia, Lombardia. Farlo in maniera sistemica e coordinata porterebbe un valore aggiunto.

Non saranno quindi misure ordinarie a trovare soluzioni a problemi di carattere straordinario.

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