A poco più di dieci giorni dall’appuntamento elettorale, la situazione economica per il nostro Paese si fa sempre più complicata. La Banca centrale europea, infatti, ha alzato i tassi di interesse dello 0,75%
, mossa che ha portato il rendimento dei Btp a dieci anni sopra il 4% rendendo quindi più costoso il servizio del debito. Nel frattempo non è stata ancora individuata una strategia comune europea per affrontare la crisi energetica. Abbiamo fatto il punto con Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino.



Professore, cominciamo dalla decisione presa dalla Bce, che ha alzato i tassi in misura superiore a quanto ipotizzato fino a poche settimane fa.

Credo che da un certo punto di vista la Bce non potesse fare altrimenti dal momento che la Federal Reserve a fine luglio aveva alzato i tassi dello 0,75%. Diversamente si sarebbe corso il rischio di causare un deflusso importante di risorse finanziarie dall’Europa agli Usa, per via di un maggior rendimento dei titoli a reddito fisso denominati in dollari. Ritengo, inoltre, che se l’Eurotower ha preso questa decisione è perché probabilmente le sue prospettive inflazionistiche sono rimaste superiori alle attese. L’inflazione non è ancora generalizzata, è concentrata in particolare sui beni energetici e su alcuni generi alimentari, ma senza contromisure potrebbe diventarla presto, arrivando magari alla doppia cifra.



Il fatto che il rifinanziamento del debito pubblico sia diventato più costoso riduce però i margini per politiche fiscali espansive in un momento in cui si prospetta un rallentamento dell’economia.

Sicuramente non c’è più spazio per la spesa pubblica allegra. Va detto che a livello europeo di politica fiscale espansiva ne è stata già fatta tanta e all’Italia è stata destinata gran parte delle risorse del Next Generation Eu. Chiaramente ci sono dei settori della società che soffrono ed è lì che andrebbero concentrate le risorse, essendo però consapevoli che non è semplice distribuirle in una realtà sociale complessa come quella italiana.



Dove andrebbero indirizzate prioritariamente le risorse?

Per quanto riguarda le famiglie, abbiamo una mappa abbastanza chiara delle situazioni di emarginazione e di rischio di scivolamento in povertà: occorrono dunque risorse per controbilanciare l’aumento delle bollette e mettere al sicuro la parte più debole della popolazione.

E per quanto riguarda le imprese?

La logica da seguire è la stessa: ci sono infatti settori in cui l’aumento del prezzo dell’energia è più rilevante sul totale dei costi e bisognerebbe quindi prioritariamente sostenere questi comparti. Non si tratta però di un intervento facile da realizzare, perché non sono pochi i prodotti che hanno cicli particolarmente sensibili ai costi energetici: basti pensare a tutti quelli collegati alla catena del freddo. È quindi importante in tal senso l’azione del Governo, in stretta collaborazione con le organizzazioni industriali e sindacali per individuare i settori più esposti.

Sia nel caso delle famiglie che delle imprese, occorrerebbero quindi interventi che si traducano in una diminuzione delle bollette energetiche?

Dato che le risorse a disposizione sono poche, io penserei a interventi legati specificamente ai costi dell’energia. Nel frattempo bisogna continuare a implementare il Pnrr.

Secondo lei, può essere rivisto in parte o va mantenuto com’è?

Tutto si può migliorare, quindi non si può escludere a priori una revisione. Sarebbe però sbagliata l’idea che l’Italia, già principale beneficiaria del Ngeu, pretendesse di ridiscutere il Pnrr dopo le elezioni. Dunque, sì alla possibilità di migliorare il Pnrr, ma in stretto coordinamento e con l’assenso di Bruxelles.

In questi giorni sta emergendo ancora una volta il ritardo con cui l’Europa si sta muovendo rispetto alla crisi energetica. Alle soglie dell’autunno ciò non può rappresentare un forte problema?

Certamente rappresenta un problema di cui è difficile anche valutare i termini. Nessuno, per esempio, sa infatti bene quale tipo di riduzione concreta della domanda possono avere i singoli provvedimenti ipotizzati. Quindi, mettere limiti all’utilizzo di energia elettrica o del riscaldamento nelle case o nelle imprese potrebbe non bastare. Si ritiene anche che ridurre del 10-15% i consumi possa bastare per trascorrere un inverno con una situazione “normale”. Devo dire che su questi temi ci sono molte stime ma poche certezze.

Sul fronte europeo quale obiettivo sarebbe auspicabile a parte superare l’attuale situazione di stallo?

Come ho già avuto modo di dire nelle scorse settimane, credo sarebbe opportuno modificare il mercato del gas di Amsterdam in modo che siano totalmente escluse le operazioni speculative. Non conosco nel dettaglio il meccanismo sottostante a tale mercato, ma occorre fare in modo che l’accesso sia garantito solo alle entità industriali che usano questa materia prima e con una durata dei contratti non troppo lunga. Mi pare una buona idea anche quella di slegare il costo dell’energia elettrica da quello del gas. Non sono un esperto e ne so poco di questi temi, ma ho l’impressione che non ci sia nessuno che ne sappia poi moltissimo.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI