Il Mit (ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) mette a disposizione 102 milioni per interventi urgenti in cinque regioni italiane. È una prima risposta, ma per la crisi idrica l’Italia ha bisogno di cambiare sistema, di nuovi invasi per garantire le riserve negli anni in cui la siccità si fa sentire, con una programmazione dell’uso dell’acqua relativa a più anni.



Lo spiega Marco Mariani, professore ordinario di idrologia nell’università Padova, direttore del Centro studi sugli impatti dei cambiamenti climatici nella stessa università. Per capire la gravità della situazione basta un dato: prima delle ultime precipitazioni mancava la metà dell’apporto annuo di un anno medio.



Professore, le piogge di questi ultimi giorni, anche se in alcune zone molto violente, hanno migliorato un po’ la situazione della siccità?

La pioggia di questi giorni ha aiutato, anche perché ha insistito su aree significativamente afflitte, Nord-Ovest e Nord-Est. In alcune zone ha provocato purtroppo anche esondazioni, ma in altre non è stata così intensa e noi abbiamo bisogno della pioggia che si possa infiltrare nel terreno per poi alimentare la falda: se l’intensità è troppo elevata non aiuta. Prima di questi eventi, parlo dei dati del Veneto, mancava grosso modo la metà dell’apporto annuo di un anno medio. Per il Veneto mediamente arrivano 1200 millimetri di pioggia, 1,2 metri di acqua e ne mancavano 650 millimetri.



Ma nelle altre zone siamo allo stesso livello?

Non mi sbilancio perché non ho dati al momento, ma l’ordine di grandezza è quello. I grandi laghi, Maggiore, Como e Garda, risentono tutti di questa situazione. Dubito che questa pioggia abbia risolto, quella caduta è nell’ordine delle decine di millimetri.

Che cosa si può fare per affrontare la scarsità d’acqua? Occorre creare nuovi invasi?

Il tema è sicuramente quello. La soluzione è realizzare invasi, intanto a monte, perché una volta che ho l’acqua in pianura non ho più la possibilità di dirigerla in un posto piuttosto che in un altro.

Invaso vuol dire necessariamente diga?

Può voler dire diga a monte, di cui si può pensare di aumentare le capacità, e può voler dire piccoli invasi che in termine tecnico si definiscono opere di tenuta. Molti invasi sono utili localmente ma non sono utili a livello di sistema, è più utile l’acqua che è immagazzinata a monte negli invasi di dimensioni maggiori.

Avremmo bisogno di nuovi invasi, anche piccoli, sparsi sul territorio? O anche di riattivare dighe o di dighe più grandi?

Abbiamo bisogno di ampliare dighe esistenti dove è possibile aumentare la capacità di invaso e di invasi diffusi nelle zone di pianura. Ma vanno pensati invasi di rilievo, importanti, e soprattutto un loro utilizzo diverso: vanno gestiti in maniera adeguata. I grandi laghi sono a livelli molto bassi e quindi non sono di grandissimo aiuto, perché l’utilizzo è su base annuale: se uso sempre l’acqua che ho non posso contare su di essa nel periodo in cui c’è siccità. La carenza è iniziata nell’agosto 2021: abbiamo usato nella stagione irrigua le quantità di acqua che avevamo, senza tenerne da parte per l’anno dopo. Così nel 2022 non abbiamo potuto contare sulle riserve dell’anno precedente, perché la regolazione viene fatta su scala annuale.

I nuovi invasi dovrebbero costituire questa riserva che ora manca?

Esatto. Ed essere usati in quel modo, puntando a conservare l’acqua per gli anni successivi.

A livello di programmazione questo è un messaggio che non passa ancora?

È una cosa di cui non abbiamo avuto bisogno: non è mai stata necessaria una programmazione multiannuale. Di fatto l’acqua c’era.

Ma per realizzare gli invasi quanto tempo ci vuole?

I tempi non sono banali. Ci sono molti progetti, però, che sono già sul tavolo, che molte autorità di bacino, consorzi di bonifica, agenzie che si occupano dell’acqua, hanno già in mano. Che avrebbero voluto realizzare perché sono ben identificati e c’è già un progetto di massima. Su quelli bisogna agire. A mia conoscenza è quello che si sta facendo sulla base dei fondi del Pnrr. È lì che bisogna agire: il Pnrr va usato per i progetti già pronti ma che sono bloccati in qualche punto del processo di approvazione. Bisogna dare un’accelerazione a questi.

Quanto ci vuole per fare un invaso?

L’ordine è di dieci anni dal momento in cui si immagina di farlo. Se già c’è un progetto ed è stato avviato il confronto tra gli stakeholder si può fare nel giro di qualche anno.

Per qualche anno quindi saremo in affanno?

Non si improvvisa nulla. Se mai niente viene messo in cantiere, mai lo facciamo.

Comunque le risorse bisogna andare a prenderle nel Pnrr?

Già sono state allocate e io ho esperienza di interlocuzioni con il Governo attuale e precedente su quali sono i progetti che vanno finanziati. I soldi ci sono: è un investimento per il futuro.

Quando ci sono precipitazioni violente come quelle dei giorni scorsi in Emilia-Romagna, l’acqua può essere utilizzata solo in parte?

Sì, riusciamo a utilizzarla solo in parte. È l’eterno dilemma che ci affligge. Il problema è avere sia troppa acqua che troppo poca. È un problema che avevano anche gli Egizi. Dobbiamo essere preparati ai due estremi. Non abbiamo la possibilità di mettere da parte i volumi che arrivano nel corso di un evento d piena importante. Vorrebbe dire avere invasi impensabili che rimarrebbero per la maggior parte vuoti. Dobbiamo realizzare infrastrutture resilienti. C’è anche il problema delle rotte arginali: anche su questo non possiamo rilassarci.

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