Nel suo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato ieri, Ursula von der Leyen ha evidenziato come dall’invasione russa dell’Ucraina sia poi scaturita “una guerra contro la nostra energia, la nostra economia, i nostri valori e il nostro futuro”. Di fronte a prezzi del gas che “sono aumentati di oltre 10 volte rispetto a prima della pandemia”, ha aggiunto la Presidente della Commissione europea, “per milioni di imprese e famiglie è sempre più difficile far quadrare i conti”.



La strategia di Bruxelles per affrontare questa situazione passa dalla proposta di: una riduzione dei consumi di energia elettrica, una modifica dei meccanismi che portano alla formazione del prezzo di mercato del gas, una riforma profonda del mercato dell’energia elettrica, un sostegno alla liquidità delle aziende del settore energetico, l’imposizione di un tetto agli extraprofitti delle imprese che producono elettricità a basso costo e di “un contributo di crisi” per le grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone per raccogliere oltre 140 miliardi di euro “che gli Stati membri potranno usare direttamente per mitigare la situazione”. Oltre ad annunciare la presentazione nel mese di ottobre di “nuove idee di governance economica”, von der Leyen ha ricordato che “Next Generation EU è stato concepito quasi due anni fa, ma è esattamente ciò di cui l’Europa ha bisogno in questo momento. Quindi atteniamoci al piano previsto e utilizziamo sul campo i finanziamenti disponibili”. Una strategia che rischia però di essere insufficiente, come ci spiega Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, alla luce anche del dato sull’inflazione americana diffuso martedì.



C’è in effetti il timore che questo dato, superiore alle attese, possa portare la Federal Reserve a un altro robusto rialzo dei tassi la prossima settimana.

Sì, e dato che la Bce è allineata alla Fed, se quest’ultima alzasse i tassi la settimana prossima, temo che anche l’Eurotower sarebbe costretta a fare altrettanto a fine ottobre. Il punto è che stiamo assistendo a un passaggio molto rapido da una politica monetaria ultra-espansiva, con tassi sotto lo zero, a una “normale”. È un po’ come passare dall’inverno all’estate, o viceversa, nell’arco di tre giorni. È inevitabile che questo brusco cambiamento porti con sé reazioni finanziarie ed economiche non positive. Anche perché contemporaneamente stiamo assistendo a un fenomeno decisamente preoccupante.



Quale?

Sembra si stia consolidando un clima di aspettative con tassi di inflazione comunque elevati. Questo significa che i benefici della politica fiscale molto espansiva adottata sia negli Usa che nell’Ue dopo la pandemia rischiano di essere erosi dal tasso di inflazione. Se non si riuscisse ad attutire l’impatto di quest’ultima in Europa, specie per quel che riguarda i rincari energetici, a quel punto servirebbe “un di più” di politica fiscale che però probabilmente non ci sarà.

In effetti, von der Leyen ha spiegato che bisogna puntare sul Next Generation Eu e che, se passerà la proposta di un tetto agli extraprofitti delle aziende energetiche, ci saranno 140 miliardi di euro per aiutare gli Stati membri a mitigare la situazione…

L’inflazione sembra correre di più della politica fiscale europea e se resta così elevata rischia di mangiarsi gli effetti positivi del Next generation Eu, tenuto anche conto del fatto che le sue risorse arrivano dilazionate nel tempo. Certamente gli interventi annunciati sul fronte dell’energia, come pure l’ipotesi del price cap per il gas, sono meglio di niente, contribuiscono pur sempre a mettere un freno alla salita dei prezzi, ma 140 miliardi per tutti i Paesi dell’Ue sembrano essere insufficienti.

E cosa pensa della proposta europea di imporre una riduzione dei consumi di energia elettrica?

Mi chiedo fino a che punto, anche se il provvedimento venisse accolto con grande serietà dai cittadini, una riduzione del 5% dei consumi giornalieri possa realmente fare la differenza.

Non c’è il rischio che gli interventi anti-inflazionistici, a partire da quelli delle Banche centrali, provochino una recessione difficile poi da contrastare?

Sì, c’è questo rischio, anche perché esistono grandi tendenze che una volta messe in moto sono difficili da fermare, rendendo molto complicato un ritorno alla situazione pre-esistente. In questo caso, provocare una riduzione della domanda implica anche una riduzione dell’attività produttiva, e non tutti i settori sono in grado di ripartire poi rapidamente, i tempi di recupero possono essere non brevi. Nel nostro Paese lo sappiamo bene: una volta che la crisi si instaura, è difficile avere successivamente una ripresa in grado di riportarci in breve tempo ai livelli pre-crisi, soprattutto se nel frattempo si perde la capacità produttiva potenziale.

Cosa dovrebbe fare l’Europa e cosa può fare invece l’Italia senza supporto dell’Ue?

Partiamo dall’Italia. Io credo che sia importante fare in modo che non manchi mai, per quelle aziende e quei settori che si trovano di fronte a difficoltà che sappiamo essere momentanee, il credito, la liquidità. Fare in modo che le imprese sane restino aperte, anche mediante interventi della Cassa depositi e prestiti, vuol dire salvaguardare posti di lavoro, quindi tenere viva la domanda e attivo il circuito virtuoso dell’economia.

E a livello europeo cosa andrebbe fatto?

Se il problema che stiamo vivendo è europeo, occorre una risposta europea. Si parlava di rifinanziare il Ngeu, ma sembra che non si possa parlare di debito pubblico europeo. Tuttavia, qualcosa di simile va fatto: tutte le economie in conflitto sono obbligate a un certo punto a finanziarsi. Occorre, quindi un finanziamento, una linea di credito dell’Ue per i Paesi membri finalizzata a interventi diretti su famiglie e imprese contro il caro energia.

Se parla di linea di credito vuol dire che dovrebbe trattarsi di risorse da restituire all’Ue?

Bisognerebbe, come nel caso del Ngeu, prevedere risorse in parte a fondo perduto e in parte a prestito a tassi che, ora più che mai, non possono essere quelli di mercato, ma devono essere di favore, visto che, come di fatto ha detto la stessa von der Leyen, siamo in una situazione di guerra.

(Lorenzo Torrisi)

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