Novecentomila e 15 milioni. La delicata partita della vaccinazione eterologa ruota attorno a questi due numeri: 900mila sono le persone sotto i 60 anni che devono completare il ciclo vaccinale dopo aver ricevuto la prima dose di Vaxzevria e 15 milioni sono le dosi di AstraZeneca, tra quelle nei freezer e quelle già opzionate, che restano all’Italia da “smaltire”.



A prescrivere la combinazione tra un vaccino a vettore virale (prima dose con AstraZeneca) e uno a mRna (seconda dose con Pfizer o Moderna) a una distanza di tempo compresa tra le 8 e le 12 settimane dalla prima iniezione è la circolare del ministero della Salute che ha recepito la decisione – assunta dal Comitato tecnico-scientifico, “in stretta connessione con il ministero della Salute da un lato e con l’Aifa, in costante raccordo anche con Ema” – di bloccare la somministrazione di AZ a chi ha meno di 60 anni.



A dire il vero, lo stesso Cts mette nero su bianco che “si può affermare, sulla base delle evidenze di cui si dispone, che la descritta vaccinazione ‘eterologa’ trova un suo solido razionale immunologico e biologico e non appare essere sconsigliabile né sul fronte della sicurezza (reattogenicità), né su quello della immunogenicità”, sebbene non siano stati pubblicati studi che includono un elevato numero di soggetti.

In effetti, il British Medical Journal ha riportato una ricerca, condotta su 280mila adulti danesi e norvegesi vaccinati tra febbraio e marzo con la prima dose AstraZeneca, da cui emergono i rischi, quasi nulli, di produrre trombosi che si corrono con la somministrazione del vaccino per chi non è stato contagiato dal Covid-19. Un altro studio inglese, chiamato Com-Cov e pubblicato in una lettera su Lancet, ha coinvolto 830 volontari over 50 allo scopo di valutare la tollerabilità del mix di vaccini: l’indagine non ha fatto emergere gravi problemi di sicurezza, evidenziando un possibile aumento solo di effetti collaterali lievi e moderati, come febbre e mal di testa. Su Nature è invece è apparsa un’indagine, condotta dal Carlos III Health Institute di Madrid su 663 volontari, di cui 441 hanno ricevuto la seconda dose Pfizer dopo la prima AZ – che ha evidenziato come in questi due terzi dei volontari, dopo la seconda inoculazione, “i partecipanti hanno cominciato a produrre livelli di anticorpi molto più alti rispetto a prima” e la combinazione ha indotto una risposta immunitaria “robusta”.



La scelta, prudenziale, del Cts comunque non trova gli scienziati tutti concordi. Per esempio, Massimo Andreoni, direttore di Infettivologia al Policlinico dell’Università Tor Vergata di Roma, nutre “forti dubbi sull’opportunità di estendere la vaccinazione eterologa all’intera platea di under 60” e pensa che “l’esigenza di mescolare i vaccini si ponga solo per i soggetti che dopo la prima vaccinazione AstraZeneca abbiano avuto rilevanti disturbi neurologici”.

Non la pensa così il farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri: “A livello di sicurezza non c’è problema. D’altra parte non ci sono ragioni teoriche per pensare che non si possano usare due vaccini diversi”. E in un’intervista al Corriere della Sera Fabio Ciciliano, segretario del Cts, ricorda come la somministrazione eterologa di vaccini non sia “una novità nel panorama della profilassi delle malattie”, visto che è stata “impiegata per l’influenza e l’epatite B”. E ha aggiunto: “Diversi studi clinici internazionali hanno evidenziato la capacità dell’eterologa di indurre una adeguata produzione di anticorpi”, modalità utilizzata “in Francia, Canada, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Regno Unito”, anche se “c’è ovviamente molta attenzione nel monitorare le reazioni avverse”.

Bastano comunque quel passaggio del Cts e queste divergenze fra gli scienziati per creare nuova confusione fra le Regioni. La Lombardia, per esempio, all’inizio sospende tutto, poi si adegua, mentre in Campania il governatore De Luca dichiara ai quattro venti la sua contrarietà al cocktail vaccinale.

Nell’occhio del ciclone c’è sempre il ministro Roberto Speranza. Parla di “messaggio chiaro su AstraZeneca”, di “posizione netta delle nostre autorità” e chiede alle Regioni di “allinearsi ai piani nelle prossime settimane”, ma per Garattini “il responsabile finale è il ministero della Sanità, che ha il compito di prendere decisioni e di spiegarle bene. Qui invece si danno annunci, ma non si spiegano”.

La controprova? La confusione che ora sta crescendo attorno al vaccino Janssen, il siero a vettore virale (come il Vaxzevria) prodotto dalla Johnson&Johnson e sul quale né il ministero né il Cts hanno adottato disposizioni precise al riguardo. Resta solo la “raccomandazione” di somministrarlo a chi ha più di 60 anni, senza però alcun divieto esplicito per i più giovani: la stessa “malleabilità” di giudizio che ha già causato il caos AstraZeneca.

Ma con una variante Delta che ha una trasmissibilità superiore del 60% a quella inglese – a sua volta del 50% più contagiosa del Sars-Cov-2 originario di Wuhan – garantire la seconda dose ai 900mila soggetti under 60 cui è stato inoculato il primo siero Vaxzevria è importante, se non decisivo, per scongiurare, o quanto meno circoscrivere, il più possibile una ripresa dei contagi, come purtroppo sta avvenendo in Gran Bretagna. E riuscire a utilizzare, inoculandole agli over 60 che ancora devono essere immunizzati, le 15 milioni di dosi AstraZeneca ancora disponibili per l’Italia diventa importante, se non decisivo, come ha sottolineato lo stesso commissario Figliuolo, per poter terminare regolarmente la campagna vaccinale entro settembre. Per far questo, però, serve mettere in campo una capacità decisionale più chiara ed efficiente e una campagna di comunicazione/persuasione più incisiva e capillare.

Altrimenti, la variante Delta e la paura di vaccinarsi con AstraZeneca e magari Johnson&Johnson potrebbero riaprire la partita contro il Covid, costringendo il paese a tempi supplementari che – vista l’aria di riaperture e di zone bianche che stiamo respirando – nessuno vorrebbe  giocare.

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