In questo periodo di pandemia, ora sempre di più di epidemia, si intensificano le denunce sul lavoro di discriminazioni e di mobbing. Per la Cassazione, il mobbing consiste in un insieme di comportamenti vessatori e/o persecutori, prolungati nel tempo e lesivi della dignità personale e professionale del lavoratore nonché della salute psicofisica dello stesso, perpetrati nei suoi confronti da parte di superiori e/o colleghi. Scopo del mobbing è l’isolamento del/della dipendente, la sua emarginazione, l’umiliazione.
Il mobbing è innanzitutto un illecito civile che potrebbe comportare una malattia professionale indennizzabile nell’ambito del cosiddetto danno biologico. Spetta al dipendente che contesti la presenza di mobbing dimostrare la nocività dell’ambiente lavorativo, il danno subito e la riconoscibilità di tale danno all’ambiente lavorativo.
In Italia il reato di mobbing si avvale di sentenze giurisprudenziali non alimentate da un’apposita specifica norma. La prima sentenza è del 2001 a cura della Corte di Appello – il 12 marzo n. 10090 – che, avvalendosi di una segnalazione della Procura di Torino, condanna il delitto di maltrattamento da parte di datore di lavoro in danno di persone sue dipendenti. Per ben 10 anni si ripetono queste denunce e pronunce, seguite da sentenze della Cassazione nel 2018 che condannano condotte vessatorie e comportamenti persecutori, svolti con carattere sistematico e duraturo diretti a danneggiare il lavoratore/la lavoratrice al fine di estrometterlo dal lavoro, richiamando l’art 612-bis del codice penale. Così come la successiva sentenza del 9 novembre 2020 dove si stabilisce che plurimi atteggiamenti che esprimono ostilità verso la vittima dipendente nell’ambiente di lavoro siano idonei a cagionare eventi di norma incriminatrice e dunque penale.
L’Organizzazione internazionale del lavoro, nella Convenzione del 21 giugno 2019 sull’eliminazione delle violenze e molestie sul luogo di lavoro, esecutiva peraltro in Italia dal gennaio 2021, indica per molestie di genere persecutorie che causano danno fisico, psicologico sessuale o economico l’introduzione di sanzioni. Alla Camera dei deputati e contestualmente al Senato sono depositate dal 2019 proposte di legge che prefigurano, prevedendo articolati comportamenti perseguibili, sanzioni penali integrando l’art del cp 612-bis a sua volta intitolato 612-ter “Atti vessatori in ambito lavorativo” che compromettono la salute o la professionalità o la dignità della persona in forza del quale il reato è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Ora non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing. Tuttavia, considerata la varietà di forme che le condotte persecutorie possono assumere nei casi concreti, alcuni dei comportamenti posti in essere potrebbero talvolta integrare fattispecie criminose previste dal codice penale a tutela dell’incolumità individuale, dell’onore, della libertà personale e morale, ecc. Il lavoratore/la lavoratrice vittima di mobbing dovrà quindi in particolar modo dimostrare che le condotte poste in essere nei suoi confronti non rientrano nell’esercizio dei normali poteri di organizzazione e controllo delle attività riconosciuti al datore di lavoro, né si limitano a semplici e tutto sommato fisiologici episodi di conflittualità sul luogo di lavoro, ma integrano al contrario una vera e propria strategia persecutoria finalizzata a porre la persona che ne è bersaglio in uno stato di grave e profondo disagio.
Attendiamo dunque una legge che chiarisca la norma di riferimento così che per la vittima, acquisita la prova delle condotte vessatorie, la sussistenza di determinate poste di danno (in particolare alcune tipologie di danno non patrimoniale tradizionalmente indicate come danno morale e come danno esistenziale) non potrà solo essere desunta dal giudice anche solo in via presuntiva, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto dedotto alla sua attenzione, ma vi sia un chiaro riferimento legislativo, che porti a condotte punibili.
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