“CANCEL CULTURE ELIMINA IL PERDONO”: L’AFFONDO DI MOBY
Moby, il genio visionario della musica elettronica di fine millennio che con un particolare (e intimo) senso religioso si interroga sui rischi etici della cultura contemporanea, dalle “minacce” woke fino alla cancel culture per culminare con una personalissima domanda sul senso ultimo dell’esistenza. Intervistato da “La Verità” Richard Melville Hall – in arte Moby – racconta del suo ritorno sulla scena musicale dopo anni di “oblio” con nuovi brani e vecchi riadattati completamente. «Quando ho riarrangiato le vecchie canzoni per l’orchestra mi sono reso conto di quando fossimo ingenui allora: a fine anni Novanta eravamo molto ottimisti e vivevamo di illusioni», racconta l’artista ancestralmente legato alla “sua” New York.
Convinti del dialogo con Russia e Cina, convinti che internet fosse il trionfo di trasparenza e democrazia e convinti del più pieno ottimismo “liberal”: e invece, rileva ancora Moby, «il mondo di oggi mi sembra terrificante e apocalittico». L’attacco diretto dell’ex punk idealista si concentra contro la falsità e l’ipocrisia della cancel culture moralista: «la cultura americana sta precipitando in una rigidità etica preoccupante. Tutto deve essere bianco o nero, è una deriva tribalistica, puritana». Secondo Moby, la “cancel culture” di fatto fa dominare l’inflessibilità etica sulla realtà senza lasciare spazio a errori che ogni essere umano «commette inevitabilmente, e non rende possibile il perdono e il cambiamento. Nella storia quando qualcuno si sente eticamente superiore a qualcuno altro non va mai a finire bene».
MOBY: “NON SO CHI SIA DIO MA L’IMMENSITÀ DELL’UNIVERSO MI FA PENSARE CHE SI PRENDA CURA DI NOI”
In dissenso quando era al vertice e si mantiene tale Moby, tra l’altro discendente di Herman Melville, scrittore di “Moby Dick”: «sono d’accordo con Bruce Springsteen, dobbiamo giudicare l’arte e non gli artisti. D’altronde anche Cartesio maltrattava gli animali e Jefferson possedeva degli schiavi… che si fa?», sottolinea l’artista grande amante di Roald Dahl, messo all’indice dalla cancel culture woke per i termini usati nei suoi romanzi, come “brutto” o “grasso”. Una sua “ricetta” Moby la racconta anche a “La Verità” per provare a contrastare con atto di dissenso personale la cappa della “cancel culture”: «stacco da Internet appena posso e vado in montagna per non pensare a quanto siamo messi male».
Qui Moby cita il Vangelo nel passaggio che – racconta – più lo ha sempre entusiasmato, quando Gesù apostrofa con “chi è senza peccato scagli la prima pietra”: «gli algoritmi dei social network invece seguono la strada contraria». Il discendente di Melville si auto-definisce agnostico ma in molte canzoni non disdegna di invocare Dio: qui Moby ammette essere molto complicato raccontare e parlare del suo rapporto con il divino, in quanto «ho cambiato idea diverse volte», addirittura per anni è stato cristiano convinto con diversi studi biblici affrontati. Poi l’ateismo, la crisi, le dipendenze e l’alcolismo, ma qui una prima “lezione” la racconta: al contrario della rigidità di cui è impregnata la cultura di oggi, è molto più potente «la sincerità di un uomo che ha sbagliato. L’ho imparato dagli ex alcolisti». Su Dio invece il tema resta aperto in quanto oggi, conclude Moby, si definisce «disarmato davanti all’immensità dell’universo. […] Non so cosa sia Dio ma certamente è molto più complesso di me. Potrei sbagliarmi ma credo che questo spirito, questa energia dell’universo, in qualche modo si prenda cura di noi. E penso che sia possibile un contatto con lui se ci si avvicina con umiltà».