Il caso Moby Prince si riapre a distanza di 30 anni dalla tragedia che si verificò nel porto di Livorno e nella quale morirono 140 persone. La procura di Firenze è intenzionata a fare luce sul disastro del 10 aprile 1991. Nonostante un processo senza fine, due gradi di giudizio ed una commissione d’inchiesta, a distanza di tre decenni non è ancora del tutto chiaro cosa sia realmente accaduto. Adesso però, una ulteriore verità, come si legge su Libero Quotidiano, potrebbe arrivare nei prossimi mesi e potrebbe essere contenuta negli esiti di una perizia affidata a tre esperti di esplosivi. Si tratta di Adolfo Gregori, comandante della sezione Chimica dei Ris di Roma, dell’ingegnere “esplosivista” Gianni Bresciani e dell’esperto Danilo Coppe che si è occupato anche della strage di Bologna.



La magistratura toscana vuole vederci chiaro e spazzare l’annoso dubbio rispetto alla tesi secondo la quale la Moby Prince trasportasse materiali pericolosi. Non è la prima volta che emerge l’ipotesi degli esplosivi nelle carte processuali, basti pensare che già nel 1992 la Scientifica ammise di aver “evidenziato tracce di esplosivo di uso civile all’interno di un locale a prua”, ovvero cinque tipi tra nitroglicerina e nitrato di ammonio, quelli che a “uso civile” son noti come gelatine o dinamite. Adesso a firmare il mandato con il quale viene riaperta l’inchiesta è la Direzione distrettuale antimafia di Firenze.



Moby Prince, caso riaperto: le due ipotesi al vaglio

Era la sera del 10 aprile del 1991 quando delle 141 persone presenti a bordo della Moby Prince, solo una riuscì a sopravvivere. Si tratta del mozzo Alessio Bertrand che dice di convivere “con l’ansia e la depressione”. Tutti gli altri morirono dopo le 22.03. L’imbarcazione aveva da poco lasciato il molo in direzione Olbia quando entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo.

Nei lunghi trent’anni successivi alla tragedia, si è spesso vagliata la tesi del possibile errore umano, prendendo in considerazione il malfunzionamento di alcuni apparati di sicurezza, le procedure di uscita dal porto. Al quotidiano Il Fatto, proprio Coppe ha spiegato: “Si ventilano due ipotesi che sono da smentire o da confermare: la prima riguarda l’esplosione come causa dell’incidente, la seconda il trasporto di esplosivi di matrice mafiosa, che poi sono bruciati”. Nicola Rosetti, portavoce dell’associazione dei famigliari delle vittime, attende con fiducia gli esiti delle nuove perizie. Intanto lo scorso maggio è stata istituita una nuova Commissione sulla tragedia che per la prima volta è riuscita ad acquisire un nastro delle comunicazioni radio mai ascoltato prima per mancanza di un particolare registratore non più in produzione.