Cosa accadde davvero dopo il disastro navale del Moby Prince del 10 aprile 1991 nel quale persero la vita 140 persone a bordo del traghetto partito da Livorno e diretto a Olbia? Da un documento trovato negli archivi dell’associazione 140 e reso noto dal Fatto Quotidiano nell’edizione online, emerge una presunta verità sconvolgente. Proprio mentre Procura e direzione antimafia di Firenze proseguono l’inchiesta sul caso e mentre si va verso la seconda commissione d’inchiesta in 5 anni, un documento del 1994 sembrerebbe rimettere in discussione le presunte responsabilità in merito alle operazioni di salvataggio.
La prima commissione d’inchiesta che ha concluso i suoi lavori nel 2018 ha ricostruito le fasi successive al disastro appurando che almeno una parte di coloro che erano a bordo del Moby Prince sopravvisse per ore, quindi per un tempo compatibile con un intervento di soccorso. Finora vi era la certezza che quei soccorsi mai arrivati fossero coordinati dall’allora comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese il quale ha sempre confermato tale versione.
MOBY PRINCE, DOCUMENTO CHOC DEL 1994
Un documento firmato nel 1994 però, sembrerebbe adesso smentire proprio la circostanza legata ai mancati soccorsi sul Moby Prince nelle ore successive alla drammatica collissione. Nel documento di 35 pagine pubblicato dal Fatto Quotidiano nell’edizione online si legge in sintesi che circa due ore dopo la collisione avvenuta alle 22.26, ovvero poco dopo la mezzanotte, la Marina avrebbe detto all’Aeronautica che non vi era bisogno di elicotteri in quanto “la Marina sta provvedendo” e che “i naufraghi erano morti”. Eppure solo mezzora prima era stato recuperato l’unico superstite, Alessio Bertrand, il mozzo del Moby Prince, ancora cosciente. A firmare il documento del 1994 – che Ilfattoquotidiano.it pubblica integralmente – è stato il generale Giulio Mainini, a capo della 1a Regione Aerea, uno degli alti comandi dell’Aeronautica Militare per l’Italia Settentrionale.