chigiEscono nove misure per 15,9 miliardi di euro (su 191,5 miliardi complessivi) che verranno riposizionati su altri interventi. Nella modifica del Pnrr approntata dal ministro Raffaele Fitto non ci sono più le voci che riguardano la rigenerazione urbana, il dissesto idrogeologico, le case di comunità e anche la sistemazione dei beni confiscati alla mafia. Il Governo ha assicurato che questi capitoli verranno finanziati in un altro modo, ricorrendo al piano complementare al Pnrr o ai fondi europei per le politiche di coesione. Un orientamento che preoccupa i Comuni perché si tratta comunque di procedure e tempi diversi rispetto a quelli individuati finora.



L’estromissione di questi interventi, osserva Annalisa Giachi, responsabile Ricerche di Fondazione Promo Pa e coordinatrice OReP, Osservatorio sul Recovery Plan, è spesso dovuta a criticità che potrebbero comportare qualche difficoltà in fase di approvazione da parte della Ue. Motivo per cui si è deciso di tagliare la testa al toro e spostarli fuori dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.



Cosa è cambiato nella sostanza nel Pnrr con le ultime modifiche?

Non è un cambiamento epocale. La struttura del Pnrr rimane quella. La gran parte di questi 15,9 miliardi riguardano investimenti dei Comuni, progetti già in essere, già in atto prima del Pnrr e che sono stati fatti confluire nel piano. Ora escono e saranno finanziati con altre risorse. Potrebbero ricorrere al fondo complementare al Pnrr, anche se viene utilizzato soprattutto per le infrastrutture. Si tratta di piccoli interventi di rigenerazione urbana che potrebbero essere inseriti nel bilancio nazionale.

Perché c’è stato questo spostamento?



Nel Governo ci si è resi conto che questi interventi potevano essere dichiarati inammissibili dalla Commissione. C’è il problema del rispetto del principio del Dnsh (Do No Significant Harm, nda) secondo il quale ogni intervento del Pnrr deve garantire che le azioni che vengono intraprese non danneggiano l’ambiente. Per rispettarlo ci sono adempimenti e vincoli che sono molto stringenti. Le opere in questione sono precedenti al Piano, in alcuni casi sono interventi già finiti, non sempre rispettano questo principio: si rischia la bocciatura. Per evitarla si è preferito toglierli direttamente.

C’è un punto importante che riguarda invece la sanità. Che cosa è stato modificato sotto questo aspetto?

Il punto più preoccupante riguarda la missione 6, la sanità territoriale, le case e gli ospedali di comunità, dove l’obiettivo è realizzare infrastrutture per gli anziani, strutture intermedie che riducano gli accessi agli ospedali. Voci che sono state tolte e verranno finanziate con il Fondo sanitario nazionale. Si tratta di interventi importanti, ne va del nostro sistema sanitario, bisognerà vedere fino a che punto il Governo si impegnerà per portarli avanti e finanziarli.

Ha colpito l’estromissione degli interventi per il dissesto idrogeologico. Perché nonostante le continue emergenze cui siamo sottoposti da questo punto di vista si è modificata proprio questa misura?

Anche questi sono interventi in parte già precedentemente finanziati. Bisogna approfondire qual è stato il motivo, ma erano tra le opere per le quali già nella relazione al Parlamento si era parlato di criticità legate a ritardi, aumento dei costi, problemi attuativi.

C’è anche l’esclusione degli interventi per la valorizzazione dei beni confiscati alla mafia. Qui il motivo della decisione qual è stato?

Ci sono dei ritardi relativi all’utilizzo di queste strutture, dovuti anche in questo caso in parte all’aumento dei costi e ai ritardi nei bandi: c’era il timore che in sede di controllo questi interventi finissero per non essere finanziati.

Quando il Governo dice che finanzieranno comunque questi progetti intende dire che procederà con soldi che non c’entrano con il Pnrr?

Esatto. Con fondi nazionali, e questo è un problema perché non è che il bilancio statale goda di chissà quale salute, con il fondo complementare al Pnrr, che sono sempre risorse nazionali, o con i fondi strutturali 2021-27, le cosiddette politiche di coesione. Questi sono fondi europei che però sarebbero gestiti dalle Regioni. Il problema diventa politico. Se la gestione è regionale i Comuni temono di perdere il controllo sui loro interventi, di essere condizionati dalla gestione del bilancio della Regione.

L’Ue ha espresso soddisfazione per la definizione delle modifiche del Pnrr. Che includono anche il capitolo RePowerEU: di che cosa si tratta?

Sono altri 19 miliardi per tutti gli interventi in materia energetica. Diventa un capitolo nuovo del Pnrr. È organizzato in investimenti e riforme. Poi c’è tutto il capitolo della transizione green: vengono potenziati gli incentivi alle imprese. È la cosa più facile dal punto di vista della capacità di spesa, perché non sono bandi ma incentivi che vengono dati alle aziende, si spendono più facilmente.

Quando si parla di RePowerEU, quindi, si rimane all’interno del Pnrr. Ma sono soldi in più da spendere?

Il complesso del capitolo RePowerEU, gestito secondo le regole del Pnrr, vale 19 miliardi, ma i fondi nuovi che vengono erogati dall’Ue sono 2,7 miliardi. Gli altri derivano dalle riallocazioni del piano, dai vari spostamenti delle misure.

I 15,9 miliardi che sono stati tolti, invece, non verranno più spesi?

In realtà non hanno tolto niente perché questi 15,9 miliardi li tolgono da alcune misure e li spostano su altre, rafforzando, ad esempio, gli incentivi. Certo, questa è la proposta del Governo, ora bisogna vedere se la Commissione europea la accetterà.

Ora quali sono i tempi del negoziato?

Vanno presentate le modifiche, poi la Commissione prenderà tempo per valutare la proposta. Penso che per sapere se verrà accettata o meno si dovrà aspettare settembre: ci vorranno un paio di mesi.

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