“C’è un documento di revisione complessiva del Pnrr che prevede una serie di cambiamenti, a tutto il piano. Tra questi ci sono anche modifiche relative alla quinta rata. Le modifiche alla quarta rata, invece, sono già state accettate dalla Commissione europea. Ora man mano che si prenderanno in considerazione le rate successive bisognerà scendere nel dettaglio e negoziare”.
Annalisa Giachi, responsabile Ricerche di Fondazione Promo Pa e coordinatrice OReP, Osservatorio sul Recovery Plan, sintetizza così lo stato dell’arte del Pnrr, dopo l’ennesima cabina di regia del Governo per fare il punto sulla situazione. Il Piano è stato notevolmente modificato dall’inizio e lo sarà ancora, perché per le prossime rate occorrerà contrattare i cambiamenti con la Ue. Intanto a breve dovrebbero arrivare i 18,5 miliardi della terza rata.
Il Pnrr, però, non ha ancora fatto sentire il suo peso sul Pil: sono stati spesi solo 25 miliardi, per vedere un effetto concreto bisogna spingere sulla realizzazione delle opere.
Fotografiamo la situazione attuale: per la quinta rata si è in attesa che la Commissione europea valuti le modifiche presentate, la quarta è stata accettata e la terza deve essere pagata tra poco: è corretto?
Sì, il quadro è questo. La terza rata se non è ancora stata pagata lo sarà a giorni perché ci sono tutte le autorizzazioni. Nel complesso devono arrivare 35 miliardi entro quest’anno, 18,5 miliardi per la terza rata, 16,7 per la quarta.
Della quinta rata e delle modifiche proposte cosa sappiamo?
È stato chiesto lo spostamento temporale di 13 obiettivi alle rate successive, un po’ come si è fatto per gli alloggi. Tra questi obiettivi ci sono la riforma dei pagamenti della pubblica amministrazione, interventi sulla banda larga, sulle piste ciclabili, sulla telemedicina, dove probabilmente si registrano dei ritardi. Per alcuni obiettivi è stata chiesta l’eliminazione: ci sono 15 miliardi che escono dal Pnrr, per i quali si propone il definanziamento e il ricorso ad altri fondi. Poi c’è l’idea della Zes unica. Il Pnrr all’inizio ne prevedeva diverse, adesso si propone un’unica Zona economica speciale che possa essere gestita centralmente per semplificare la realizzazione. Riguarda tutto il Sud comprensivo della Sardegna. È prevista una fiscalità vantaggiosa per sostenere gli investimenti. Il disegno dei confini della Zes, comunque, è complesso: non si identifica con le Regioni, si tratta di aree al loro interno, come ad esempio aree portuali.
Se diamo uno sguardo d’insieme alle modifiche come cambiano i numeri della quinta rata?
Se passassero tutte le richieste a fine anno gli obiettivi non sarebbero più 69 ma 51. Una riduzione abbastanza consistente. La revisione più significativa riguarda i progetti di efficientamento energetico e rigenerazione urbana dei Comuni.
Si parla anche di una revisione del RePowerEu, in che cosa consiste?
Le modifiche del RePower sono state presentate insieme alla revisione complessiva del Pnrr. Questo piano prevede tre capitoli, uno che riguarda le grandi reti di energia e di gas, un altro gli incentivi per l’efficientamento energetico e un’altra parte sull’economia circolare e le materie prime critiche. Verranno gestiti dalle grandi partecipate dello Stato. Anche su questo sono arrivati i primi rilievi della Commissione, le cose probabilmente andranno riviste e si dovrà negoziare.
Ma complessivamente il piano come è cambiato in questa opera di revisione?
C’è questa proposta di rimodulazione che porterebbe a far uscire dal piano 15,9 miliardi di misure definanziate. Secondo il Governo saranno solo rimodulate: si troveranno, cioè, altre forme di finanziamento. I soldi così ottenuti verrebbero utilizzati per finanziare il RePowerEu, che è l’altro capitolo nuovo del Pnrr, finalizzato al risparmio e all’efficientamento energetico, all’autonomia delle reti. Gli interventi che l’esecutivo ha ritenuto non realisticamente realizzabili entro il 2026, non saranno finanziati con il Pnrr ma in altro modo, probabilmente con il fondo di coesione, con i fondi strutturali e con altri fondi nazionali.
Quali sono gli interventi che escono dal Pnrr con questa modifica?
Si parla di piccoli interventi comunali, le cosiddette piccole e medie opere, i progetti in essere confluiti nel Pnrr, partiti prima, inseriti nel piano e poi usciti nuovamente. Progetti di efficientamento energetico e di rigenerazione urbana che non sono coerenti con il principio del Dnsh, che l’Europa ci impone per la salvaguardia ambientale. Sono progetti ideati in precedenza che per questo non rispettano questa regola. Il governo, prima di farseli bocciare, li ha tolti direttamente. Poi ci sono i piani urbani integrati, che sono interventi importanti, progetti di rigenerazione nelle grandi città. Fitto propone di toglierli perché ritiene che non si riescano a realizzare entro il 2026. Infine ci sono gli interventi per i beni confiscati alla mafia, che erano in ritardo.
Questi interventi, quindi, sono quelli compresi nei 15 miliardi che non fanno più parte del Pnrr ma verranno finanziati in altro modo?
Sì. Nove miliardi riguardano gli interventi dei Comuni, con progetti anche molto piccoli. Per i piani urbani integrati ci sono 2,4 miliardi e per i beni confiscati alle mafie 300 milioni di euro. Ci sono anche misure sul dissesto idrogeologico.
I Comuni hanno chiesto comunque rassicurazioni sui pagamenti delle loro opere. Come intende agire il Governo da questo punto di vista?
Su queste misure i Comuni stanno già appaltando: ci sono scuole, interventi di recupero urbano. Stanno aprendo i cantieri. Giustamente vogliono sapere come devono comportarsi. L’indicazione che viene dai ministeri è quella comunque di andare avanti, anche perché al momento non ci sono approvazioni di queste modifiche, c’è solo una proposta di rimodulazione avanzata dal Governo alla Ue. Sono opere che funzionano a rendicontazione: si realizza una parte e poi si chiede il rimborso. Il Governo, in un webinar che abbiamo organizzato, ha spiegato che nel momento in cui si chiederà il rimborso se la misura è stata definanziata verrà coperta con risorse proprie, se non è stata definanziata si procederà con il Pnrr. Le opere, insomma, vanno avanti, anche se non c’è una definizione precisa della fonte di finanziamento.
Dove si possono pescare le risorse ad esempio?
Il ministro Fitto ha avocato a sé la gestione del Fondo di sviluppo e coesione, ristrutturandolo un po’ come il Pnrr. Si tratta di un grosso bacino di finanziamento su cui l’Italia è clamorosamente in ritardo, da sempre. Sarà Fitto, quindi, a gestire questi finanziamenti. E lì andrà a pescare le ulteriori risorse che servono. Anche per le infrastrutture è stato presentato da Salvini un piano di rimodulazione che prevede l’uscita dal Pnrr di alcune infrastrutture importanti come una parte dell’anello ferroviario di Roma: non si riusciva a far partire il cantiere entro il prossimo anno. Anche qui c’è l’impegno del governo a rifinanziare in altri modi.
Quando avremo delle risposte dalla Ue per quanto riguarda le modifiche complessive e la quinta rata?
Ci vorranno ancora dei mesi. Sulla quinta il percorso è iniziato adesso: ci vorranno almeno due mesi, se basteranno. Il Governo ha cambiato strategia: la terza rata è stata bocciata più volte e ha dovuto cambiarla in corsa. Ora preferisce condividere le modifiche. Prima si negozia, quando le modifiche vengono accettate si presenta la rendicontazione.
Ma quanto è stato modificato il piano dall’inizio? Secondo Il Sole 24 Ore le modifiche riguardano il 49% degli interventi. Una stima attendibile?
È possibile. Per i progetti in essere, quelli che c’erano già prima del piano e che vengono chiamati non nativi, il cambiamento è quasi al 100%. Per gli altri siamo sul 50%. A volte i cambiamenti sono minimi: si chiede solo di spostare un intervento di qualche mese.
Il Pnrr muove una massa di investimenti enorme, come mai non si sono ancora visti gli effetti sul Pil?
Bisogna aspettare che la spesa aumenti, andare avanti con l’attuazione dei progetti e dei cantieri. Abbiamo speso solo 25 miliardi finora. Parliamo di spesa vera, di soldi effettivamente trasferiti. L’impatto è inevitabilmente contenuto. Man mano che le opere si realizzano si dovrebbe attivare un meccanismo di incremento del Pil. Il Governo aveva stimato un impatto dell’1% sul Pil del Pnrr, una stima cauta. Ma bisogna tenere conto anche delle previsioni di crescita che si sono ridimensionate.
(Paolo Rossetti)
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