C’è grande entusiasmo attorno al molnupiravir, il farmaco per il quale l’azienda farmaceutica Merck ha chiesto l’autorizzazione all’Agenzia europea per i medicinali (Ema) affinché venga usata nel trattamento del Covid. In un recente studio questo farmaco orale ha dimostrato di poter dimezzare il rischio di ricoveri ospedalieri e di morte per Covid, ma questo ottimismo è giustificato? Qualche dubbio c’è e riguarda proprio il meccanismo di azione di questo antivirale che appartiene alla classe dei ribonucleosidi mutageni. Questi farmaci modificano il materiale genetico virale e inducono errori per impedire la replicazione del virus e la trascrizione del genoma virale.
Il molnupiravir all’interno della cellula ospite viene convertito in molnupiravir trionfato che, quando il virus prova a replicarsi, viene incorpora nell’Rna virale al posto della nucleoside cittadina, causando così una mutazione che impedisce al virus di replicarsi. In questo modo la carica virale è bassa e si riduce la gravità della malattia. Visto che causa la mutazione dell’Rna virale, si teme che possa causare mutazioni anche nelle cellule ospiti. Uno studio in colture di cellule animali, infatti, ha trovato mutazioni in quelle trattate con questo farmaco.
I DUBBI DEGLI ESPERTI
Da qui la preoccupazione sulle conseguenze, nello specifico sulla genotossicità di questo farmaco e, quindi, sui suoi possibili effetti collaterali. Il professor Simon Clarke, associato di microbiologia cellulare all’Università di Reading, ha fatto notare a Medical News Today che alle persone coinvolte nella sperimentazione è stato chiesto di astenersi dai rapporti eterosessuali e di usare contraccettivi. «Ciò suggerisce che il farmaco ha il potenziale di causare difetti di nascita se qualcuno rimane incinta». Invece per il professor William Schaffner, infettivologo della Vanderbilt University School of Medicine, è meno preoccupato per le possibili implicazioni genetiche. «La FDA non avrebbe certamente permesso i test clinici sugli esseri umani se avessero pensato che ci fosse qualche ragionevole pericolo. […] Gli studi sugli animali non hanno mostrato effetti negativi». D’altra parte, non la considera una “pillola magica”. «Negli studi su pazienti ad altissimo rischio, ha ridotto il livello di malattia grave solo della metà. Nella pratica, c’è di solito un tasso di successo inferiore a quello degli studi clinici». Invece il professor Sir Peter Horby, infettivologo dell’Università di Oxford, pur essendo ottimista, ha aggiunto: «È importante ricordare che i rischi assoluti sono stati ridotti del 14% al 7%, quindi un sacco di persone devono essere trattate per prevenire un ricovero o la morte. Questo significa che il farmaco deve essere molto sicuro e accessibile».
I DUBBI SULLA MUTAGENICITÀ
I timori riguardanti la mutagenicità del molnupiravir sono stati riportati anche dal chimico farmaceutico Derek Lowe che però su Science ha evidenziato che «il Molnupiravir è stato sottoposto a questi e ad altri test sugli animali, a dosi più lunghe e più alte di quelle utilizzate in clinica, e (fortunatamente) non ha mostrato segni di effetti mutageni rispetto agli animali di controllo». Ed è questo il motivo per il quale è stato dato il via libera alla sperimentazione sull’uomo. «I risultati negativi di mutagenicità, la finestra tra le dosi dei test di tossicità e quelle necessarie nella pratica, e la durata relativamente breve del trattamento rendono questo farmaco fattibile», ha aggiunto. In ogni caso, esiterebbe a farlo stare a donne incinte o quelle che vogliono una gravidanza e ai bambini. «Non ho visto dati di teratogenicità per il farmaco, ma i saggi per prevedere il rischio di difetti di nascita sono a volte difficili da interpretare. Anche il farmaco antivirale favipiravir agisce attraverso l’accumulo di mutazioni dell’RNA colpendo l’RNA polimerasi, anche se in modo molto meno potente del molnupiravir, ed è noto per essere teratogeno». Approvato in Giappone, è sottoposto a restrizioni che potrebbero valutare anche gli enti regolatori americano ed europeo per il molnupiravir.