C’è un problema con cui la comunità scientifica ha a che fare da quando si è sviluppata la pandemia di coronavirus: i tamponi. Non mancano infatti i casi di falsi positivi. Il problema è dettato dal fatto che questi sono nati non per diagnosticare la malattia, ma a scopo di ricerca. A spiegarlo è il professor Giulio Tarro, intervenuto ai microfoni di Radio Radio durante la trasmissione Un giorno speciale. “Il professor Mullis, che ha scoperto questa metodica, aveva detto fin dall’inizio che non bisognava usarlo come metodo diagnostico ma come mezzo di ricerca”. Inoltre, ha spiegato che l’enorme aumento del numero dei tamponi è stato giustificato dall’intenzione di trovare delle positività. “Ci sono positivi che per definizione sono dei falsi positivi perché hanno degli anticorpi. L’acido nucleico è inattivo. Non solo non sono contagiose, ma sono pure protette”. Quindi, così si va ad arricchire il numero dei casi con soggetti che sono positivi ma hanno virus inattivo, per questo Tarro li ritiene falsi positivi.



TARRO SULLE STRATEGIE DIAGNOSTICHE

Il professor Giulio Tarro è stato anche sollecitato a dare uno sguardo all’estero. “La famosa ricetta israeliana era quella di far circolare il virus tra i giovani e isolare gli anziani, proteggere gli anziani e gli affetti da altre patologie”, ha dichiarato a Radio Radio. E poi ha guardato alla Svezia, che ritiene “ormai un punto di riferimento per l’approccio a questo virus”. E quindi è intervenuto anche sulla questione della quarantena: “Un soggetto che per 3 giorni non ha sintomi che non va neppure disturbato”. Secondo il professor Tarro, intervenuto durante la trasmissione Un giorno speciale, la sanità americana si è mossa bene dal punto di vista diagnostico, perché “ha speso 1,5 miliardi di dollari per avere un test che possa essere simile a quello dell’epatite, per trovare nel sangue il virus, gli anticorpi e l’acido nucleico”. In conclusione, per Tarro “questo è l’approccio diagnostico giusto per capire chi è malato e chi è guarito”.



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