Ma che fastidio danno delle suore di clausura amate dalla gente e che, oltretutto, abitano a casa propria e si mantengono da sole? Sono le domande ovvie che insorgono dopo che si conosce la vicenda delle monache domenicane di Marradi, una località contigua a Firenze, dove è sindaco Paolo Bassetti, il fratello del cardinale presidente della Cei.



Sono rimaste in quattro, di cui una molto anziana e una novizia, e sono fortemente intenzionate a non lasciare la loro casa; dalla loro parte hanno la gente che vuole “evitare un trasloco forzato delle religiose”. È infatti accaduto che, dopo un tentativo a dicembre 2019, venerdì scorso al monastero si erano presentati in tre, tra cui due suore, con l’obiettivo di convincere le monache a lasciare casa loro. Le religiose non hanno aperto e alcuni abitanti della zona da loro avvertite si sono subito recati a sostenerle.



L’ordine delle suore, da Roma, vorrebbe che se ne andassero e per evitare tale decisione le suore avevano deciso l’affiliazione a un altro monastero domenicano, quello di Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, ma poi non se n’è fatto nulla.

Qualcuno pensa che dietro queste pressioni ci siano interessi economici e se così fosse sarebbe davvero brutto, perché quando le chiese vengono trattate secondo principi di efficienza economica, di bilanci “costi-benefici”, c’è qualcosa che non va nei cristiani che si riducono a fare questi conti. Ma la gente del territorio si oppone e il sindaco Bassetti, non a caso, dice “fra l’altro il monastero ci ‘appartiene’: furono le famiglie locali a farlo costruire 400 anni fa”.



In ogni caso, per delle monache un monastero non è solo un edificio. È il corpo di Cristo che le custodisce e di cui loro sono le membra, un gregge disperso che lì, nel monastero, trova unità, protezione, amore. Il popolo di Dio capisce perfettamente che casa non è solo mura ma è relazioni, all’interno della comunità e con il territorio. Ed essere poche non toglie valore, anzi semmai avviene il contrario. Un tempo i monasteri erano baluardo di fede, di cultura ed economia, basta pensare ai monasteri benedettini che hanno continuato a declinare questa loro vocazione in mille modi, oppure è sufficiente ricordare quando, fino a pochi decenni fa, i monasteri offrivano diritto d’asilo durante le guerre.

Ora, è sufficiente visitare il sito del monastero per capire che sono luoghi dove “rassettare le reti”. Mi riferisco al momento descritto dal vangelo di Marco (Mc 1, 16-20) in cui si racconta che alcuni cristiani “gettano le reti in alto mare” (v. 16) e altri “riparano le reti” (v. 19). Ovvero, in metafora, esistono spazi e momenti dove recuperare le forze, riprendere energie emotive e spirituali, tuffandosi nel silenzio, nel raccoglimento e anche, se si vuole, ricevere una compagnia discreta e premurosa: e questi luoghi sono per i cristiani, e non solo, i monasteri di clausura.

Chi crede che i monasteri vadano chiusi quando le comunità sono composte da troppi pochi membri si chieda perché il popolo di Dio vuole che quelle comunità rimangano, e si adoperi non per tagliarli ma per rinvigorire quei rami della vigna del Signore che soli sono capaci di dare vino e ristoro.