Si sta per aprire la grande kermesse dei Mondiali di calcio in Qatar, ma pochi sanno quanti drammi umani siano avvenuti durante la loro preparazione, rimasti negati e coperti dagli scintillanti palazzi di Doha e dalle imponenti strutture che ospiteranno le gare.

La vita dei lavoratori che per anni hanno lavorato in vista dei Mondiali è stata spesso spaventosa. Ne ho parlato a lungo in un mio libro (“Integrazione impossibile – Quello che non ci dicono su Africa, Islam ed immigrazione” – ed. Il Borghese) e quei dati sono tuttora d’attualità e sono forse anche peggiorati negli ultimi tempi, visto l’afflusso di oltre due milioni di lavoratori stranieri in questo piccolo pezzo di Golfo Persico.



Secondo Amnesty International e Human Rights Watch – e come documentato da una serie di inchieste apparse l’anno scorso sul Guardian di Londra – sarebbero stati circa 6.500 i morti tra i lavoratori edili addetti alle costruzioni e di fatto deportati nel paese senza diritti e fatti oggetto di un inaudito sfruttamento.



Allettati da un guadagno molto al di sopra del povero livello di vita dei loro villaggi, centinaia di migliaia di persone provenienti da Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, India, Nepal e da molti paesi africani sono arrivati in Qatar scoprendo subito che la realtà era ben diversa da quella che era stata loro promessa.

Per tutti la solita storia: un “reclutatore” che passava nei villaggi e prometteva soldi senza sottolineare troppo che a carico dei lavoratori restano le spese di viaggio, il vitto e l’alloggio e che quindi – arrivando – si sarebbero trovati già indebitati fino al collo.



Anche perché, nonostante le promesse della teocrazia al potere in Qatar – paese di cui Gianni Infantino, presidente della Fifa, è talmente innamorato da esserne diventato cittadino – non è mai stato abolito il sistema della kafala (“garanzia”), che permette ai datori di lavoro di requisire subito i passaporti dei lavoratori migranti – dichiarati subito ufficialmente “debitori” – che già all’arrivo restano così senza documenti e la possibilità di lasciare il paese, ma anche di cambiare padrone o mestiere.

La kafala concretizza un concetto preso a prestito dall’Islam, una specie di tutela per gli esseri inferiori che dovrebbe valere per donne vedove o rimaste senza marito e bambini minori, ma che in questo caso è stata adottata per gli immigrati. Un sistema che ha funzionato in milioni di casi, con il “kafil” che comandava senza sconti e spesso con la violenza e con l’immigrato che senza documenti non solo non poteva più espatriare o cambiare lavoro, ma che non poteva affittare una casa, avere un conto in banca e visto che non parla – ovviamente – la lingua locale, non poteva nemmeno protestare o rivolgersi alla polizia o a un sindacato (peraltro vietati nel paese), né aver accesso a servizi sanitari o diritto ad assicurazioni sul lavoro.

Su internet si possono leggere storie incredibili di persone segregate per mesi, fustigate per “disobbedienza” o morte di stenti in un clima da medioevo. Gente trattata come animali, condividendo “a ore” un letto con turni di 60 ore di lavoro settimanali senza turni di riposo e – ricordiamoci – lavorando in un clima estremamente caldo.

C’è stato qualcuno che ha arricciato il naso e protestato, ma questo non ha molto interessato i media. Eppure, solo la scorsa settimana, la ministra dell’Interno tedesca, Nancy Faeser – che ha la delega allo sport -, ha criticato ancora una volta la scelta di assegnare la Coppa del mondo di calcio ad un paese fortemente arretrato in termini di diritti umani.

L’esponente dell’Spd ha dichiarato alla rivista Ard Monitor: “Per noi come governo federale, questo è un torneo molto difficile”, convinta che l’assegnazione dei grandi eventi sportivi debba essere vincolata a criteri, “vale a dire rispetto dei diritti umani e princìpi di sostenibilità”. La reazione del ministero degli Esteri del Qatar è stata immediata: ha convocato l’ambasciatore tedesco e gli ha consegnato una nota di protesta per i commenti della ministra.

Quanti sportivi italiani, ovviamente delusi di non partecipare ai Mondiali con la Nazionale azzurra, hanno mai avuto notizia di questa situazione? Eppure tutto ciò sembra non aver interessato molto anche la Fifa né tanti circoli progressisti del mondo che hanno chiuso gli occhi su tutto, forse anche per la corruzione che ha accompagnato l’assegnazione del Mondiale e i business imponenti che ne sono seguiti.

Chissà se durante i Mondiali qualcuno penserà anche agli stenti delle persone che hanno lavorato per realizzarli, oltre a ricordare come spesso i diritti umani siano negati in Qatar, per esempio per tutti gli omosessuali. In Qatar non si possono peraltro bere alcolici in pubblico, tenere “atteggiamenti sconvenienti”, professare apertamente religioni diverse dall’Islam e forse un po’ di attenzione dovranno porla anche le tifose che seguiranno le squadre, visto che sono state invitate ufficialmente a tenere “un atteggiamento appropriato”, ovvero niente effusioni e – per esempio – no a pantaloncini corti, magliette senza maniche o vestiti che non coprano ginocchia e spalle.

Certamente ci sarà una certa tolleranza di facciata, visto che il Qatar sarà sotto gli occhi del mondo, ma vedremo che atteggiamento terranno anche i giocatori in campo, quegli stessi che in passato si sono tante volte inginocchiati contro le discriminazioni razziali.

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