Non so se lo sapete, ma mi interessa anche il calcio, anche se non ho più il tempo di vedere le partite. Però seguo un po’ le cronache. E così sulla Gazzetta online ho letto un titolo: l’allenatore del Brasile, Tite, cattolico, non avendo trovato a Doha una chiesa è stato costretto ad andare a pregare in una moschea. In realtà a Doha esiste una chiesa cattolica, inaugurata nel 2008, Nostra Signora del Rosario, ma per ordine del governo l’edificio non ha alcun simbolo cristiano esterno, né croce né campane. È chiaro che Tite non abbia potuto riconoscerla anche se ci è passato accanto.

Certo tra i dohaesi non ci devono essere molti cattolici, anche perché da quelle parti una eventuale conversione al cristianesimo non deve essere proprio ben vista: rinunciare all’islam è considerato apostasia ed è un reato capitale. D’altra parte tra le migliaia di lavoratori stranieri chiamati a costruire stadi e altre strutture, e poi necessari per farle funzionare, ci sono stati sicuramente anche tanti lavoratori, per esempio filippini, che mi risulta siano molto attaccati alla nostra fede.

Molti giornalisti, in questi giorni, pur raccontando dettagliatamente le vicende sportive, non hanno trascurato di documentare il problema della discriminazione nei confronti delle donne e dei gay. Pare, addirittura, che i commentatori Rai ostentino, “coraggiosamente”, dei braccialetti multicolori…

Vuoi vedere che tra un po’ si potranno mettere anche un crocefisso al collo? O questo non è “politically correct”? Oppure dobbiamo aspettarci che i calciatori inglesi, già in ginocchio prima delle partite, visto che sono lì in posizione, si lascino andare ad un illegale Padre Nostro?

Il fatto è che la libertà di coscienza sembra essere permessa solo a chi ha il consenso del Potere. Così, pazienza, poveri lavoratori filippini, e anche voi, alcuni di voi calciatori che non vi vergognate di ricordare che avete incominciato a giocare in oratorio, in fondo, fino adesso, qualche segno di croce, un po’ scaramantico, prima di entrare in campo vi è ancora permesso.

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