“Il Grande Satana”, gli Stati Uniti, tutto quello che per Teheran rappresenta il male e il nemico numero uno, ha sfidato la Repubblica islamica dell’Iran (sconfitta ieri per 0 a 1) ai Mondiali di calcio. Sono gli scherzi dello sport, che per motivi puramente casuali dovuti ai sorteggi finiscono per mettere davanti appunto i rappresentanti di nazioni che sono magari sull’orlo di una guerra. Lo abbiamo già visto in passato, ad esempio durante i Mondiali del 1982 in Spagna, quando a meno di un anno dal colpo di stato militare filo-sovietico, Polonia e Unione Sovietica si trovarono una contro l’altra. In quell’occasione dagli spalti dello stadio venne srotolato un grande striscione inneggiante a Solidarnosc, il sindacato polacco messo fuori legge dal generale Jaruzelski, prontamente rimosso dagli addetti della Fifa. In Qatar invece la nazionale iraniana si è resa protagonista di un atteggiamento coraggioso, rifiutando di cantare l’inno nazionale durante il primo incontro, cosa che sulla stampa di regime è stata definita “tradimento”.
In occasione della seconda partita invece i giocatori lo hanno cantato, seppur di malavoglia, perché, è stato detto, le autorità iraniane avrebbero minacciato di arresto e torture i loro familiari se non lo avessero fatto. “Questi Mondiali di calcio sono lo specchio delle turbolenze del mondo in cui viviamo” ci ha detto Rony Hamaui, docente di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, “i calciatori iraniani si trovano in mezzo, schiacciati da due fronti opposti, e rischiano seriamente se non la vita, quanto meno la carriera”.
La nazionale di calcio iraniana è protagonista assoluta di questi Mondiali e non per meriti sportivi, ma per il coraggio e l’adesione alla rivolta contro il regime nel loro Paese. Come giudica quanto sta succedendo?
Questi Mondiali sono lo specchio dell’epoca in cui viviamo e non solo per via dell’atteggiamento della nazionale iraniana. Si svolgono in un paese, il Qatar, fondamentalista e dittatoriale, dove bisogna stare attenti a qualunque cosa si dica e a come ci si veste. La turbolenza di questi Mondiali riflette la turbolenza del mondo di oggi.
Dopo essersi rifiutati di cantare l’inno nazionale, i calciatori iraniani prima della seconda gara lo hanno cantato, probabilmente perché minacciati. Sulle tribune abbiamo visto molti tifosi iraniani piangere per questo. È un segnale chiaro dello scollamento tra popolo e potere?
C’erano quelli che piangevano, ma c’erano anche quelli che erano contenti che i giocatori cantassero. La società iraniana rimane divisa e complessa.
In realtà, sembra che il regime di Teheran abbia mandato molti suoi agenti infiltrati da tifosi per inscenare questo sostegno.
Certamente, anche questo è vero, ci sarebbe da stupirsi se non lo avessero fatto.
Anche perché non tutti i semplici cittadini possono permettersi certi costi…
Sta di fatto che in mezzo a tutto ci sono questi ragazzi, i calciatori, che qualunque cosa facciano rischiano: se non cantano l’inno, vengono massacrati dal regime, così pure se perdono le partite; se cantano l’inno e non vincono, sono massacrati dagli oppositori al regime. Questa partita con gli Stati Uniti per loro può essere solo vinta, non voglio dire che ne vada della loro vita, ma qualcosa di simile.
Secondo lei, dopo la partita, qualunque sia il risultato, c’è il rischio che esso venga manipolato per manifestazioni?
Certamente, sarà così. I giocatori sono scesi in campo sapendo che dovevano vincere a tutti i costi, in modo da diventare eroi nazionali. Non è stato così. La vittoria avrebbe contato più del fatto sportivo, rappresentando per loro una sorta di salvacondotto.
La vittoria avrebbe potuto unire le due parti in lotta nel Paese?
Difficile dire. In fondo neanche noi sapevamo chi tifare, comunque la si metta i giocatori si trovano in una situazione complicata. È da capire se il pubblico di casa ha supportato o meno la squadra, criticata da entrambi i lati della barricata. Chi avrebbe voluto dichiarazioni di supporto alla rivolta ancora più decise e chi accusa certi giocatori di pensare troppo alla politica.
La Federcalcio americana è stata protagonista di un episodio alquanto disdicevole, mettendo online la bandiera iraniana senza lo stemma islamico. Valeva la pena farlo o è servito solo ad esacerbare di più gli animi?
Si sono resi protagonisti di un atteggiamento infantile fuori luogo. L’Iran ha chiesto l’esclusione degli Stati Uniti dal Mondiale. Anche con ragione, cosa che non può accadere, ma che forse avrebbe evitato le tensioni di questa partita.
Intanto sta succedendo qualcosa di importante. In Cina, altro regime dittatoriale, le ragazze sono scese per strada inneggiando alle donne iraniane. La rivolta sta superando i confini dell’Iran?
È molto interessante questo. Le donne stanno dando un contributo alla democrazia che si è visto poche volte nella storia, forse solo durante la Resistenza italiana. Per il resto non ci sono molti esempi analoghi.
Si può sperare in un cambiamento globale? Senza arrivare alla repressione sanguinaria?
In Iran il sangue già scorre abbondantemente, speriamo che i cinesi si comportino più saggiamente degli iraniani.
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