La moneta unica europea è un dato ormai acquisito. Vent’anni di euro hanno fatto ormai dimenticare i tempi turbolenti della lira, con le svalutazioni competitive e un valore facciale vicinissimo allo zero. Con una lira non si comprava nulla. Una moneta che non era un bel biglietto da visita per un Paese, come l’Italia, che era e rimane una delle più importanti economie industriali del mondo. Ogni tanto si parlava della necessità di introdurre una “lira pesante” o di “nuova lira” togliendo due o tre zeri al valore facciale. Non se ne è fatto mai nulla per la complessità dell’operazione e il rischio di dare una spinta all’inflazione rendendo vana la dura battaglia condotta contro l’aumento dei prezzi.
Le vicende della lira sono uno stimolo a guardare alle monete non solo come elemento macroeconomico, ma anche nella realtà concreta dei dischetti di metallo, spesso prezioso, con raffigurati principi e re. La moneta secondo gli economisti serve essenzialmente per tre scopi: è una unità di misura del valore delle cose, è uno strumento di pagamento, è una riserva di valore per rendere possibile il risparmio. Non è un caso che quello che è considerato il maggior economista del Novecento, John Maynard Keynes, sia ricordato non solo per la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, ma anche per un’opera monumentale, scritta pochi anni prima, come il “Trattato sulla moneta”.
La moneta è infatti un elemento centrale del sistema di più o meno libero mercato, un sistema che viene chiamato “capitalismo” proprio perché contraddistinto non semplicemente dai fattori di produzione e di consumo, ma anche per il contributo essenziale del risparmio, degli investimenti, dell’accumulazione e, secondo la teoria marxista, del plusvalore sottratto ai lavoratori.
La moneta tuttavia non è solo un perno fondamentale del sistema economico. È anche un’espressione della civiltà, è un simbolo del potere, è la rappresentazione della fiducia verso chi la emette. “Date a Cesare quel che è di Cesare”: in questa frase del Vangelo è in fondo racchiuso il significato di fondo della moneta.
Un viaggio tra le monete è così in fondo un viaggio nelle civiltà dell’uomo, un viaggio come quello che Sergio Valzania propone nel suo libro “La via delle monete” (Ed. Il Mulino, pagg. 246, € 16), un invito “ad attraversare l’Europa in tutte le direzioni, scoprendo legami e discontinuità, ma soprattutto riconoscendo la distribuzione della prassi monetale e la sua ricomposizione in un’esperienza unica e unitaria, che è nei caratteri del nostro continente”.
Un libro costruito sugli episodi, sugli aneddoti, sui racconti, sulle curiosità. Ricordando, per esempio, che la parola “moneta” deriva dal tempio di Giunone dove erano ospitate le oche sacre che dettero l’allarme nel 390 a.C. consentendo sventare l’incursione dei galli di Brenno. Quel tempio venne così chiamato di Giunone Moneta, “colei che ammonisce, che avverte del pericolo”.
Così come le monete forniscono la materia ideale per guardare al Medioevo al di là dei pregiudizi. Guardando all’epoca delle grandi cattedrali gotiche Valzania ricorda infatti che “a dominare su tutto, in contrasto con la visione cupa del Medioevo che si è soliti accreditare, stavano ottimismo, consapevolezza della crescita economica e desiderio di cambiamento, di conquista. L’innovazione era all’ordine del giorno, come la sperimentazione di tecniche nuove in ogni campo”.
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